editoriale

Non è tempo per noi

La stagione del tramonto. Si potrebbe intitolare così il romanzo della recente storia nerazzurra. Narrato da protagonisti con fiammate ancora vincenti (quel gol di Maicon sabato sera) e da attori non più così principali (Milito che fallisce là...

Sabine Bertagna

La stagione del tramonto. Si potrebbe intitolare così il romanzo della recente storia nerazzurra. Narrato da protagonisti con fiammate ancora vincenti (quel gol di Maicon sabato sera) e da attori non più così principali (Milito che fallisce là dove era il più forte). La domanda è una sola. Se ne saranno accorti che la loro parte ha perso di importanza, che dove prima c'era spazio per un assolo è comparsa ora una timida particina e che la luce del palco si rifiuta quasi di inquadrarli? Un lento e inesorabile tramonto dalle sfumature nerastre. L'azzurro, al momento, è invisibile. L'armata invincibile non ce la fa più. E' questa la dura e cruda realtà. E non è questione di non voler mettere in campo tutte le migliori intenzioni, il cuore e pezzettini d'orgoglio. Le gambe in alcuni casi, l'inesperienza in altri tradiscono una finzione che non può più durare a lungo. Corrono tutti più veloci. In campo e nella classifica. E noi li guardiamo da lontano, con il fiatone, impotenti. Stremati.

La curva di San Siro prepara per la partita di sabato una coreografia da brivido. Cattura nell'immagine di Giacinto una posizione che non sempre la società è riuscita a tenere. Giù le mani da Facchetti. Io non rubo il campionato ed in serie B non sono mai stato. Mai come l'altra sera si è sentito San Siro così forte e unito nel cantare l'inno nerazzurro che non era per una volta il gioioso Amala Pazza Inter Amala, ma quello più datato e malinconico che ci aveva accompagnato negli anni più bui. Un modo per delimitare le differenze tra nerazzurri e bianconeri. Alcune battaglia sono giuste, certe sono più giuste di altre. Dentro a queste parole si nasconde una guerra lunga una vita, giocata tra l'arroganza e la sofferenza, tra la vergogna e la coscienza. Inutile sviscerare Calciopoli chiamandolo per nome. L'altro ieri allo stadio c'era tutto questo e si sentiva.

La Juve di oggi ha qualcosa dell'Inter di ieri. La fisicità, prima di tutto. Quell'anticipo prezioso fatto di forza, che ti permette di arrivare prima dell'avversario. La velocità. E lo spirito di gruppo che trova idee e forze anche là dove sembrano non essercene. Niente di trascendentale, dirà qualcuno. Ma se guardiamo i nerazzurri non troviamo traccia di queste componenti. Non è la partita contro la Juve ad essere decisiva nella presa di coscienza, lo è senz'altro la classifica. Da quella non si scappa e hai voglia a snocciolare tutto quello che avrebbe potuto e dovuto girare meglio in questo strampalato avvio di stagione. Gli 8 punti raccattati come briciole di avanzi indigesti arrivano in 9 partite. Una media disarmante, che deve far riflettere al più presto sulle soluzioni più immediate. Qui si sta affondando alla grande.

Manca sempre qualcosa. Lo scatto decisivo, il gol del vantaggio, il recupero sull'avversario. Facciamo pochissime reti, ne subiamo moltissime (già 16). Teniamo quando siamo compatti, ma poi incredibilmente e regolarmente verso il 60° o giù di lì la squadra si spegne ed entra in una sorta di coma vegetativo. Le cause sono molte ed evidenti. Lo sa anche Ranieri che, nonostante le belle parole per la prestazione, non riesce a nascondere una faccia tirata. Gli argomenti con i quali cerca di giustificare una disfatta iniziata molto tempo prima del suo arrivo sono legittimi, quanto poco incisivi. L'evidenza urla cose diverse e lo fa con il tono crudo di chi non deve mostrare sensibilità o tatto verso nessuno. Non è più tempo di illusioni, credetemi. Non è (più) tempo per noi...