editoriale

Sulla libertà  di insultare Facchetti negli stadi

Sull’edizione di ieri de La Stampa è stato pubblicato un articolo a firma Marco Ansaldo intitolato Insultare Pessotto costa meno. L’elaborato punta l’indice stigmatizzando il sordido striscione nei confronti del dirigente juventino, esposto...

Lorenzo Roca

Sull’edizione di ieri de La Stampa è stato pubblicato un articolo a firma Marco Ansaldo intitolato Insultare Pessotto costa meno. L’elaborato punta l’indice stigmatizzando il sordido striscione nei confronti del dirigente juventino, esposto domenica sera dai tifosi milanisti: «Non è simpatico cercare una differenza tra un comportamento stupido e uno idiota. Ma poiché a tracciarla è stato addirittura il giudice sportivo ci chiediamo se l’ululato di un gruppo di razzisti verso un calciatore di colore sia davvero molto più grave di infamare una persona che sei anni fa tentò a un gesto tragico. Per Gianpaolo Tosel lo è. Ieri il giudice della serie A ha comminato alla Juve 10 mila euro di multa per i «buu» dei suoi tifosi, mentre il lungo striscione della curva rossonera che ironizzava sul «volo» di Pessotto vale meno della metà: 4mila. Premesso che non esiste una tariffa adeguata per la vergogna, quale messaggio arriva da una simile decisione? Forse che la dignità si può estendere o contrarre e quindi punire diversamente chi la lede? Il dolore di Pessotto e il suo stato d’animo nel leggere quella frase che riapre una ferita meritavano lo stesso rispetto della rabbia che prova chi si sente sbeffeggiato per il colore della pelle a meno di non credere che la colpa di Pessotto sia di non essere nero… E poi si dice che la legge è uguale per tutti».

Dopo aver letto questo articolo, apprezzandone la qualità, resto stranito. La domanda che mi percuote è: “Ma perché tali ragionamenti vengono fatti solo ogni tanto? Casualità? Opportunità? Chi lo può dire… Personalmente dissento sul "pesare" gli insulti in base alle decisioni del giudice sportivo, le differenti sanzioni sono sicuramente motivate da inezie e cavilli legislativi insite nella labirintica legge nostrana. In più, trovo che il giudizio del giudizio sia capzioso nonché totalmente inutile. Non credo ci sia bisogno di aprire un dibattito sugli striscioni negli stadi per accorgersi di quanto la lex italica sia squilibrata e in alcuni casi iniqua. Eppure questo esercizio licenzioso e corroborante pare garbare a molti, ci piace urlare al cielo peana e anatemi contro la mancanza di civiltà della Penisola. Mi chiedo: ma ce n’è davvero bisogno?Siamo in Italia, suvvia. Un Paese che si fregia di omicidi a piede libero, di condannati in via definitiva che siedono in Parlamento, di truffatori impuniti da Vipiteno a Pachino. Questi pessimi vizi deflagrano poi in modo totale nel mondo sportivo, leggendo polemiche e titoloni dei giornali di Stato e delle rubriche dedicate. Insulti, sfottò, addirittura slogan curvaioli e bellicisti come quello, per fare un esempio recente, rintracciabile sull’edizione di domenica del quotidiano super partes Tuttosport. In prima pagina, il titolo recitava: “Galliani, mettila sul tuo cellulare!”, con velato riferimento al rigore assegnato al Milan domenica e alla polemica del dirigente rossonero fatta l’anno scorso in seguito al non gol di Muntari. Classico slogan da tifoso invasato allo stadio. Che esempio sublime... Ha senso quindi ritrovarci scandalizzati e irritati per una decisione del giudice sportivo? Curioso quando questi strali vengono fatti rimbombare solo in alcune occasioni, quelle cromaticamente più meritevoli. Ma forse mi sbaglio.Tornando all’articolo de La Stampa, anche la graduatoria della predisposizione all'opportunità dell’insulto è, a mio parere, ciclopicamente fuori luogo. Ri-cito: “meritavano lo stesso rispetto della rabbia che prova chi si sente sbeffeggiato per il colore della pelle a meno di non credere che la colpa di Pessotto sia di non essere nero”. In cuor mio penso che ogni insulto che leda la dignità e l’essere di un uomo sia riprovevole: a sfondo razziale, omofobo, dileggiante le anomalie fisiche o le sventure occorse nell’esistenza altrui. È davvero così essenziale e utile mettersi a contare difetti, colpe e sanzioni per vedere chi ne ha di più e chi meno? Riprendendo le parole dell'autore dell'articolo, che dice "non è simpatico cercare differenze tra chi è stupido e chi è idiota" mi chiedo, più che dibattere sulla simpatia, è utile cercarle?All’ottimo pamphlet di Ansaldo però, mi preme far seguire una riflessione. Un pensiero che mi fa star male e che mi rode dentro, ogni volta che rivedo quella dannata immagine. Altro striscione, portato in giro allegramente per un anno intero da un gruppo spensieratissimo di tifosi juventini (spero sparuto e mi auguro poi aiutato adeguatamente dai servizi sociali). Tale capolavoro recitava: “Facchetti 48. Morto che parla”. Spettacolo orrido e blasfemo (essendo Giacinto, per il sottoscritto, una divinità) che però, indisturbato, faceva sfoggio di sé e dell’allarmante ritardo mentale dei suoi creatori, passeggiando per tutti gli stadi d’Italia. Lecce, Napoli, Bari, Milano, Roma, Cagliari… ovunque la Juventus portasse i suoi tacchetti, ecco che lo striscione faceva capolino.Ma chissà quante segnalazioni, chissà quante multe collezionate dalla Juventus per questa licenza creativa dei suoi supporter. Nessuna. Niente. Nada. Zero termico. Nonostante le numerose denunce fatte dall’Inter.Allora chissà lo sdegno della stampa, dei giornalisti, che di professione dovrebbero riportare i fatti ed evidenziarne le storture e le più palesi aberrazioni. Nessuno. Niente. Nulla. Silenzio. Au contraire, qualche organo, mi viene da dire di deiezione più che di stampa, lo battezzò inter alia “umorismo noir, simpatico e scherzoso”. D'improvviso, i miei pensieri erranti trovano un fosco sentiero logico.Ciò che mi ha portato a scrivere non è certo un'impellente necessità punitiva verso i malfattori. È solo un’amara constatazione, un grido verso il cielo, disperato e orgoglioso. Una sola cosa forse contribuisce a placare il mio impotente disagio. Il fatto che, a differenza di Giacinto Facchetti, Gianluca Pessotto possa constatare dal vivo, con i suoi occhi, la stoltezza di certe persone, per poi farsi una risata sulle loro carenze cognitive. Tale cosa mi allieta, come sportivo, ma soprattutto come uomo. Non mi interessa scovare il tifoso più stupido o idiota, altro mi amareggia. La fede calcistica o la potenza economica del padrone dovrebbero essere orpelli in certi casi. Dovrebbero, appunto. Io, che sono l’ultimo dei giornalisti, lo so bene e agisco di conseguenza. Molte sublimi penne della categoria, no. Ma si sa, l'informazione non è uguale per tutti…