editoriale

The normal One

Il tifoso che si avvicina allo stadio per assistere al tanto atteso e temuto derby ha il cuore pesante come quello di un condannato. Saranno 90 minuti interminabili e se ci aggiungiamo i giorni precedenti, giorni nei quali l’ansia evapora...

Sabine Bertagna

Il tifoso che si avvicina allo stadio per assistere al tanto atteso e temuto derby ha il cuore pesante come quello di un condannato. Saranno 90 minuti interminabili e se ci aggiungiamo i giorni precedenti, giorni nei quali l'ansia evapora con una crescente intensità, e soprattutto il dopo (con opzioni che vanno dall'inferno al paradiso, passando per un purgatorio che non convince nessuno), lo stato di evidente agitazione si dilata prepotentemente nel tempo, asseragliando i pensieri. Il tifoso si incammina con passo volutamente baldanzoso verso il suo seggiolino, lo raggiunge con forzata allegria, riconosce nei sorrisi tirati dei suoi compagni di posto la stessa e identica preoccupazione. Come andrà a finire?

In una serata che più gelida non si può l'Inter affronta il Milan nella sua casa. I rossoneri sono i favoriti, non solo per i punti che staccano in classifica i nerazzurri, ma anche e soprattutto per il coro che la Curva Sud intona con la sicurezza propria di chi sa di essere più forte. I Campioni dell'Italia siamo noi. Un mantra che va ribadito ogni volta che si scende in campo, mica facile. E non è facile per nulla la partita che si distende sul campo freddo e ostile in questa notte di gennaio. L'Inter, facendo tesoro degli insegnamenti del normalizzatore più speciale che ci sia (se non è speciale uno che sul suo curriculum può vantare 7 derby vinti su 8), si muove compatta e non concede spazi pericolosi. Si muove bene, rispettando le distanze imposte da Ranieri ( a volte anche troppo diligentemente) e aspettando il momento buono per dipingere un'incursione nell'area che conta, quella rossonera.

Il momento buono non si lascia attendere e dopo 5 minuti Thiago Motta si staglia nell'area rossonera buttando una punizione di Maicon in rete. Sembrerebbe regolare, ma il guardalinee annulla. Si ricomincia. Il tifoso ripiomba in mood autistico mentre in campo si riprende a battagliare. Pato, simbolo di una settimana rossonera piuttosto complicata, è spesso lezioso. Ibra, con il passare dei minuti, si trincea nel compitino, fuggendo ai margini della partita. La difesa nerazzurra non presenta sbavature. Samuel è un muro invalicabile, Lucio una furia che vorrebbe smettere di cavalcare solo una volta centrata la porta avversaria. Le imprecisioni a centrocampo sono il prezzo da pagare per riuscire a dare una svolta alla partita in attesa del momento più propizio. Nè un attimo prima, nè un attimo dopo.

Il momento giusto non si fa attendere. Il gol arriva grazie ad un cambio di gioco di un immenso Zanetti per un Milito che, a differenza di Abate, non sbaglia il movimento e  mette in rete con un sinistro cinico e preciso. In quel gol c'è l'ostinazione di un campione che è riuscito, grazie ad un normalizzatore che anche in questa occasione ha dimostrato di essere piuttosto speciale, a credere che la malinconia prima o poi avrebbe lasciato spazio alle vecchie abitudini. Bastava rispolverarle con cura. Certe cose non spariscono da un giorno all'altro. Dicevamo un immenso Zanetti. Nessuna definizione è sufficientemente realista nel descrivere i suoi anticipi, il rigore nella corsa e quei recuperi quasi ad "uccellare" gli avversari (come avrebbe scritto Brera). Questo derby porta l'indelebile tatuaggio della sua essenza. Per ritrovare la strada perduta avevamo bisogno che qualcuno ce la ridisegnasse. Ranieri, partita dopo partita, ne abbozza un pezzettino alla volta. Ostinato, modesto e anche un po' scaramantico. Vince chi non molla. Vince chi ha imparato nel corso degli anni a combattere e a stingere i denti con ferocia. Vince chi non è disposto a perdere. Noi, ieri, non lo eravamo per nulla...