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Casarin: «Arbitraggio italiano? Fischi poveri, di seconda mano»

L’ex arbitro Paolo Casarin, dalle pagine del Corriere della Sera, scrivendo in bello stile e dimostrando di parlare con somma cognizione di causa, affronta la crisi che sembra aver colpito il settore arbitrale italiano, recentemente...

Lorenzo Roca

L'ex arbitro Paolo Casarin, dalle pagine del Corriere della Sera, scrivendo in bello stile e dimostrando di parlare con somma cognizione di causa, affronta la crisi che sembra aver colpito il settore arbitrale italiano, recentemente funestato da svarioni ed errori molto gravi. Un articolo che consigliamo di leggere: «Che cos’è diventato l’arbitraggio oggi in Italia? Un insieme di fischi poveri, intempestivi, senza una radice originale, si direbbe fischi di seconda mano. Frettolosi o lenti, perfino cancellati dall’incertezza e mescolati alla paura. Una vita arbitrale ormai scandita da questo modo di fischiare, che deve far quadrare i bilanci domestici, certamente onesti ma anche presuntuosi, privi dello splendore della ricerca faticosa e infinita. Fischi sottoposti a contratto. Fischi senza l’arte coraggiosa della meditazione. E pensare che il fischio di quel tipo di uomo che è l’arbitro è sempre stato e potrebbe ancora rappresentare la sintesi di una conoscenza sempre incompleta e perciò stimolante, dello studio di una regola del gioco elementare, ma per tutti difficile perché onesta e giusta. Un messaggio forte che ogni arbitro, anche il più giovane e sconosciuto, potrebbe trasmettere con gioia, perché il servizio è realmente prezioso, in nome di tutti E pensare che il campo di calcio con centomila respiri, con il tifo liberato dai sentimenti, è il luogo perfetto per far nascere quel fischio, che è arte proprio nel momento in cui l’arbitro è riuscito a farsi circondare e sommergere nel proprio silenzio neutrale, è riuscito a calmare il battito del cuore mentre entrava in area di rigore e può, solo in quel momento e in quello stato, aprire con volontà e ostinazione gli occhi in direzione della realtà del gioco che vuole essere arbitrato. È ancora possibile frequentare quella scuola di arbitraggio, che sembra così lontana e a taluni mai esistita? È sempre aperta, ha bisogno soltanto di studenti senza programmi di studio semplificati. L’arbitraggio non è un quiz. Ha bisogno di lavorare sugli errori, sui pregiudizi, sulla limitazione della propria autorità, sulla capacità di raggiungere l’indipendenza da tutti. Ma proprio da tutti».