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Specchia (GdS): “Derby? Fino agli anni Ottanta era da bollino rosso. La curva dell’Inter…”

Giorgio Specchia, giornalista della Gazzetta dello Sport nonché fondatore del gruppo ultrà nerazzurro dei Viking, ha approfittato di un’intervista a calciomercato.com per analizzare il suo libro ‘Il Teppista – Trent’anni...

Daniele Vitiello

Giorgio Specchia, giornalista della Gazzetta dello Sport nonché fondatore del gruppo ultrà nerazzurro dei Viking, ha approfittato di un'intervista a calciomercato.com per analizzare il suo libro 'Il Teppista - Trent'anni maledetti a Milano'  nel quale racconta la vita del suo amico Nino Ciccarelli, figura storica della Curva Nord interista.

Com'è cambiato in questi trent'anni il modo di approcciarsi al derby da parte delle tifoserie di Milan e Inter?'E' cambiato in meglio. Fino agli anni Ottanta il derby di Milano era una partita da bollino rosso. Erano anche arrivati a spararsi... Poi le cose sono via via migliorate e, da molti anni, il derby non è più una partita a rischio incidenti. Un salto di qualità notevole. Ma anche negli stati le cose sono migliorate. Io spero che le curve continuino ad esistere e che in Italia non passi la follia del modello inglese, della repressione dura. Il modello inglese ha pulito gli stadi, ma ha finito per sporcare le strade. Nella civilissima Londra nel 2011 ci sono stati 30 morti, tutti giovanissimi, nelle guerre tra gang. Non è che, spostando il problema, lo elimini. Anzi. Lo stadio può inquadrare i ragazzi più difficili all'interno di un gruppo sociale più variegato. Non voglio fare discorsi di bassa sociologia, ma negli stadi, e soprattutto nelle curve, trovi di tutto. E devi giocoforza convivere in un gruppo variegato e disomogeneo. Il ragazzino ricco con quello povero, il nero con il rosso. Uniti da una maglia. Per me è un bellissimo esempio di società multi-pensante...'.

È difficile per un calciatore giocare e vivere in una città come Milano?'Milano è ai vertici nello sport. Ha due squadre vincitrici di Champions, unica città in Europa. Però l'elenco di calciatori passati per Milano e svaniti nel nulla, polverizzatisi, comincia a essere troppo lungo...'.

Nel libro parli anche di sportivi che scommettono. Non ti sorprende, dunque, il vasto fenomeno che emerge agli onori della cronaca in queste settimane?'Il discorso è troppo lungo. Questo è un Paese che vive di scommesse. Per lo Stato è una voce importante da mettere a bilancio. Ma taroccare le partite è quanto di più schifoso possa succedere. Tradisci tanta gente che crede in un ideale - quello della maglia - sottile, flebile. Con questo non voglio dire che i tifosi, in generale, siano degli stupidi. Anzi, sono gli ultimi mohicani di una società sempre più individualista, egoista. Che non crede più a nulla. Nemmeno nella cosa pubblica'.

Avendo vissuto per tanti anni in prima persona il mondo delle curve, quale credi che sia la sciocchezza più grande che comunemente si dice - e si pensa - a proposito degli ultrà?'In generale, sulle curve si scrivono da anni sempre le stesse cose. Ciccarelli ne ha fatte di tutti i colori e, come dice lui stesso, non va assolutamente preso ad esempio. La sua storia meritava però di essere raccontata. Mi piace la letteratura alla Edward Bunker. Nelle curve, però, non sono tutti Ciccarelli. E l'errore più grande è etichettare diecimila persone come un'unica cosa, come un ammasso di teste senza cervello. Per esempio, la curva dell'Inter è ancora, per certa stampa, il covo di Forza Nuova. Ebbene, nelle ultime amministrative Forza Nuova, a Milano, ha preso un paio di centinaia di voti. La curva Nord, secondo anello verde, ha 8.000 seggiolini. Ammesso che tutti i 200 voti di FN uscissero dalla Nord: e gli altri 7.800? Però è più facile copiare gli articoli di 10-15 anni fa, senza sforzarsi troppo. Sapete che all'ultima festa della Nord, la scorsa estate, è stato invitato Roberto Vecchioni? E ha pure cantato (gratuitamente) sul palco? Eppure, scommetto che al prossimo articolo sulla Nord verrà ancora riproposto lo stesso pezzo e lo stesso grafico già letto centinaia di volte. In generale, purtroppo, nel corso degli anni la costante campagna contro le curve ha solo prodotto odio anche dall'altra parte. E così, ormai, anche i ragazzi delle curve si sono chiusi a riccio contro la stampa. Il giornalista è visto come un infame, un prodotto del potere che scrive sotto dettatura. I giornali, soprattutto quelli sportivi, non vengono più letti dal popolo delle curve. Lo dico per esperienza diretta. E la cosa mi rattrista molto'.

Nel libro emerge infatti un ritratto non proprio confortante della categoria dei giornalisti. Come l'hanno presa i tuoi colleghi?'I più giovani l'hanno presa benissimo perché quasi tutti hanno messo piede in una curva e sanno che non sono gli ultrà il problema del calcio. Semmai il problema del calcio si trova nelle tribune autorità, popolate (ovviamente senza generalizzare, visto che mettere le etichette non va mai bene) anche da scrocconi, faccendieri, veline, portaborse... I più vecchi, invece, l'hanno presa malissimo. Troppo abituati a scrivere che le curve sono merda, feccia, tumori da estirpare. Chiedono e invocano leggi speciali e poi magari scopri che, da ragazzi, loro erano peggio. Tiravano molotov ai cortei, picchiavano gli avversari politici (rigorosamente venti contro uno) e sputavano in faccia ai poliziotti'.

A chi consigli di leggere questo libro per 'chiarirsi le idee'?'Nel mondo dello sport, all'inflessibile procuratore antidoping Ettore Torri. Nella politica ovviamente all'ex ministro Maroni, inventore della ormai morente Tessera del tifoso. Nel giornalismo, ai più giovani. A 60-70 anni non gli cambi la testa'.