Il primo atto dopo la rielezione a presidente della Figc da parte di Giancarlo Abete è un'ammissione di ultima investitura. Un’apertura al futuro che lascia quantomeno perplessi, non fosse altro perché firmata da un candidato unico fresco di elezione plebiscitaria – ha raccolto oltre il 94% dei consensi di 256 votanti – e da 25 anni negli organi federali. Eppure, si va avanti come negli ultimi cinque anni: in fondo, «Il calcio non rappresenta tutti i mali del nostro paese, non sono i presidenti a creare il debito pubblico, semmai versano nelle casse dello stato 900 milioni di imposte senza ricevere un euro».Questo il manifesto della seconda gestione Abete. Quella dovrà iniziare a far fronte ai problemi irrisolti del mondo calcistico italiano, dalla riforma della giustizia a quella dei campionati, al rapporto inesistente con una Lega di serie A presente con 18 rappresentanti su 20 all’elezione del numero uno federale, ma incapace di darsi un leader. Un segnale di ricambio generazionale lo ha lanciato l’Assocalciatori, nominando Simone Perrotta, atleta ancora in attività, come rappresentante nel Consiglio Federale.
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Abete, rielezione con confessione. Il suo manifesto è la difesa…
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