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Bedin ricorda Facchetti: “Herrera e il soprannome, Moratti e quel difetto…”

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L'ex compagno di squadra (e di stanza) ricorda e racconta Giacinto nel giorno in cui avrebbe compiuto 80 anni

Alessandro De Felice

Gianfranco Bedin ha giocato con Giacinto Facchetti per 10 stagioni nell'Inter. L'ex centrocampista, che ha vestito il nerazzurro dal 1964 al ‘74, vincendo 3 scudetti, una coppa Campioni e un’Intercontinentale, ha raccontato l'ex compagno di squadra nel giorno in cui avrebbe compiuto 80 anni in un'intervista rilasciata alla Gazzetta dello Sport:

Che poi, i trofei non sono di certo mancati a Giacinto Facchetti, bergamasco di Treviglio ma in fondo cittadino del mondo: è tutt’ora uno dei calciatori più famosi.

"Esatto. E non solo del calcio ma dello sport in assoluto. Beh, non spetta a me rimarcare i suoi meriti di giocatore, per lui parla la carriera. Pure quella in azzurro, sia chiaro. Certo quando si involava sulla fascia faceva davvero paura perché univa velocità a potenza: un quattrocentista perfetto, alla Fiasconaro se vogliamo rimanere nel passato".

Formidabili quei vostri anni interisti...

"Davvero, abbiamo vissuto un periodo splendido. Con Angelo Moratti presidente, Helenio Herrera in panchina e Italo Allodi, il ds, in cabina di regia. Tutto veniva curato alla perfezione, il Mago aveva introdotto dei principi di allenamento rivoluzionari, l’Inter era davvero un club all’avanguardia in Europa".

Gli scudetti, le coppe sono noti a tutti, magari il 'giovane' Bedin ci può regalare aspetti inediti di Giacintone.

"Posso farlo con cognizione di causa in quanto suo compagno di stanza per diverso tempo... Mi colpì subito la gentilezza del Cipe. All’epoca nello spogliatoio di una squadra, specie se importante, i più giovani facevano la naja, la gavetta. Mi accostai a Facchetti, un titolarissimo, con sussiego, ma lui mi mise subito a mio agio. Da persona intelligente e sensibile la sera mi faceva entrare in camera per primo... Dopo di lei, sior Bedo, scherzava. Solo che quella specie di cerimoniale non andò avanti a lungo perché io venni ben presto fagocitato dal gruppetto di quelli che giocavano a carte, cioè Mariolino Corso, Bobo Gori e altri che cercavano di ammazzare le lunghissime ore del ritiro".

Mentre Giacinto...

"No, lui niente carte. Se la filava in stanza e si concedeva un libro prima di addormentarsi. Gli piaceva leggere, molto".

Aveva un difetto? Uno...

"Ah, certo: se prendeva il telefono lui, addio. Potevi organizzare un torneo di scopa e alla fine lo ritrovavi lì a colloquio con Giovanna. Bisogna sapere che all’epoca nel ritiro alla Pinetina avevamo una sola linea. Poi ho conosciuto la splendida famiglia del Cipe, e ho compreso perché non riusciva ad attaccare la cornetta".

Il Mago vi teneva rinchiusi a lungo.

"Praticamente tutti i giorni tranne uno, e non sempre ce lo dava libero. Il prezzo delle vittorie".

Forse non tutti gli interisti sanno come nasce Cipe, lo strano soprannome di Facchetti...

"Il nostro allenatore parlava un italiano-spagnolo pieno di parole sostanzialmente inventate anche se comprensibili, definiamoli pure dei neologismi. Quando si trovò di fronte a Giacinto, Herrera nella presentazione non afferrò bene il cognome Facchetti e lo trasformò in Cipelletti che poi abbreviava in Cipe, appunto".

Lei ha avuto modo di stare a fianco anche al Giacinto dirigente.

"Sì, Massimo Moratti ci volle un po’ tutti in società, facevo l’osservatore quando Giacinto arrivò alla poltrona di presidente. È stato d’esempio anche in quel ruolo".

Cosa gli avrebbe detto, dinanzi agli attacchi del dopo Calciopoli?

"Cipe avrebbe trovato lui le parole giuste per sistemare le cose e inquadrare i fatti nella loro dimensione reale. Piuttosto è chi ha cercato di trascinarlo nel fango dopo che il tumore ce lo aveva portato via che dovrebbe sentire adesso il dovere di scusarsi perlomeno con la famiglia. Giacinto certe porcherie non riusciva nemmeno a immaginarle: è stato un perfetto spot dello sport".

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