L’Antagonista ha l’hobby di vincere tanto e solo con club outsider: da giocatore Sampdoria e Lazio; da allenatore, Fiorentina, Lazio, l’Inter che non vedeva uno scudetto da 17 anni, il Manchester City che non ne sfiorava uno da 44. E, per paradosso, ha fallito (solo una Coppa di Turchia) proprio con l’unica squadra, il Galatasaray, sposata già vincente. Sono i segni particolari di un uomo contro. Fu lo stesso Roberto Mancini a spiegarlo quando arrivò ad Appiano la prima volta il 9 luglio 2004: «Con Milan e Juve vincono tutti...». E il 22 aprile 2007 a Siena, appena vinto il campionato, aggiunse: «L’Inter è la mia sfida più grande». Era il giorno del suo secondo scudetto nerazzurro, il primo sul campo. Lo dedicò a Giacinto Facchetti. Poi, come fosse nato interista e non juventino come nella realtà, sibilò: «Stavolta non ci saranno intercettazioni». Furbo ma sincero, aveva intercettato, di lì in poi ricambiato per sempre, l’interismo più profondo. Della sua prima vita nerazzurra una volta disse che «è stata la più faticosa della mia carriera. All’Inter si soffre e si sentono tante cavolate da parte di un sacco di gente. La pressione è altissima, il metro di giudizio è diverso, anche un pareggio è un dramma». Lui però, a differenza di altri, ha sempre risolto il problema con efficacia ed eleganza, tra uno scuotere di ciuffo (oggi accorciato e ingrigito), commoventi cappotti di cachemire e, se era il caso, tuonanti vaffa nei denti dei prevenuti: accadde il 9 maggio 2005 quando, dopo un epico match con la Samp (da 0-2 a 3-2 dal 90’ al 96’), mandò pubblicamente a fare un giro un tizio che lo insultava dalla tribuna nobile di San Siro.
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CorSera – Torna un Mancini più maturo e internazionale. Partirà forte con il derby…
L’Antagonista ha l’hobby di vincere tanto e solo con club outsider: da giocatore Sampdoria e Lazio; da allenatore, Fiorentina, Lazio, l’Inter che non vedeva uno scudetto da 17 anni, il Manchester City che non ne sfiorava uno da 44. E, per...
Scena cult. Se è stata così complessa («ma grande») la sua prima vita interista con 7 trofei, figurarsi come sarà la seconda adesso che del suo vecchio club sono svaniti non solo i milioni di Moratti e una rosa fantastica ma pure la vera maglia nerazzurra. L’Antagonista però non si spaventa, al punto da accettare di esordire nel derby. Da brividi? Macché. Fu così pure col Galatasaray: esordio contro la Juve il 2 ottobre 2013, 2-2 a Torino. E come sarebbe finita esalta ancora gli interisti: 1-0 al ritorno e bianconeri eliminati. Cinquant’anni fra 12 giorni, Sagittario, sposato, tre figli, appassionato di 007 e Lucio Battisti, orologi e barche, tiramisù e cappuccino, tecnico social con profilo Twitter aggiornato con frequenza, uomo di fede spesso pellegrino a Medjugorje, Mancini torna nel luogo lasciato nel 2008 dopo le dimissioni, poi ritirate, dopo l’eliminazione in Champions col Liverpool, e l’esonero di Moratti che aveva nel frattempo preso Mourinho. Seguirono frizioni, finché il 30 ottobre 2009 arrivarono risoluzione consensuale e liquidazione di 8 milioni: un bel premio per avere resistito quattro anni con un presidente che si era fumato dieci tecnici nei nove precedenti, per tacere di quelli successivi.
Oggi Mancini si ripresenta a casa più maturo e più internazionale, con la minuscola, ma in una società il cui portafoglio è ancora un mistero e con una rosa che contro quella del 2004/08 farebbe fatica a vedere palla. Fa niente. Sorriderà e lavorerà doppio, in fondo anche lui si deve rilanciare un po’. Stipendio a parte, non sempre cachemire vuol dire vita facile
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