Ci sono partite di calcio che la Juventus interpreta come una mattanza, come un’esecuzione capitale. La ferocia con cui ha fatto a brandelli l’Inter racconta, probabilmente, una storia che parte da lontano, un rancore tenuto acceso come carbonella e irrorato da altra benzina nella settimana del mercato mancato (Guarin/Vucinic). I bianconeri non soltanto avevano deciso di battere l’Inter, volevano umiliarla. Ci sono riusciti anche perché l’avversario ci ha messo del suo, confermando la propria irrilevanza, qualcosa di assai peggiore della debolezza. Chiedendo scusa ai vincitori, partiamo dagli sconfitti. Fa quasi tenerezza, l’Inter, quando non sa cosa fare del pallone, cioè quasi sempre, mandandolo avanti a casaccio, sperando che prima o poi qualcosa accada. Ci sono giocatori che inciampano da soli, altri in perenne ritardo, altri ancora in clamoroso debito tecnico. Una tribù feroce come i cannibali di Conte non poteva non banchettare, su una tavola apparecchiata in questo modo. Dopo le due partite romane un po’ così, la Juve ha spolpato i nerazzurri dall’inizio alla fine, a parte qualche momento nel quarto d’ora conclusivo, dopo il gol di Rolando che ha ridato un po’ di sangue agli anemici milanesi. Confermata la regola che vuole sempre vincitori i bianconeri in casa, con almeno tre gol di media.
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Crosetti: “La ferocia della Juve fa a brandelli l’Inter. I Nerazzurri fanno tenerezza…”
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Il vero diluvio della domenica non si è dunque visto a Roma ma a Torino, dove piovevano palloni come chicchi di grandine. Questo permette ai campioni d’Italia di allungare ancora, stavolta perché la Roma non ha giocato, e chissà quante altre cose accadranno da oggi fino al recupero della gara dei giallorossi contro il Parma. Ma, in fondo, anche questo è irrilevante, più o meno come l’Inter. A proposito: si è finalmente capito perché l’altro giorno Hernanes piangesse lacrime inconsolabili. La notte della lunga rabbia ha avuto, come fastidiosa ricaduta, gli insulti continui tra i tifosi delle due parti: ormai, urlare contro diverte più che incoraggiare. E non si può dimenticare la sassata contro il pullman interista, prima che si cominciasse: Marotta dice che la Juve, di certi sassi, fa collezione, tuttavia non sembra un gran ragionamento, davvero non esistono attenuanti minerali. Le pietre fanno male sempre, e contro chiunque. Stadi semivuoti, cieli di piombo, palloni come stracci bagnati, paludi. Più che un turno di campionato, una fossa delle Marianne nella quale si è inabissato soprattutto il Napoli. Nessuno ha davvero capito le scelte di Benitez, forse neppure Benitez, anche se poi gli svarioni dei suoi giocatori non dipendono dalla tattica ma dai piedi sbilenchi, e dalla testa altrove.
Il dopo-Mazzarri, ma anche il dopo-Cavani rischia di diventare mezzo fallimento, la squadra dell’anno scorso sembrava più compatta, identici soltanto i limiti difensivi: non risulta che De Laurentiis si sia troppo speso per colmarli. Da “anti Juve” a oggetto alla deriva, il Napoli rimpicciolito deve ora guardarsi dalla Fiorentina che pure ha sprecato un’occasione a Cagliari, altrimenti la classifica sarebbe già assai diversa. Classifica destinata a restare virtuale a lungo, insopportabilmente, conseguenza del diluvio romano e di un calendario più intasato della metropolitana di Tokyo. Ma se distanze e posizioni reali non sono definibili con precisione assoluta, esistono anche certezze impermeabili. Come il quinto posto del Verona e di Luca Toni, 10 gol e una finestra aperta sul mondiale: impossibile non considerare il vecchio drago per un viaggio in Brasile. Oppure, la crescita interessantissima di Immobile e Cerci, due granata già tinti d’azzurro. Nella prima domenica a mercato chiuso (il Sassuolo del presidente Squinzi ha cambiato quasi tutto per non cambiare niente), ha sorpreso la fresca e autorevole classe del laziale Keita, ragazzino cresciuto benissimo a Barcellona: lui e Candreva, su e giù lungo le fasce, possono cancellare presto il ricordo di Hernanes, asciugando qualunque lacrima vera o di coccodrillo (che fosse una settimana umida, si era capito da giovedì).
Anche se la storia più bella della domenica, a parte l’inutile quanto divertente sarabanda di gol in Catania-Livorno, rimane quella di German Denis e del suo bambino raccattapalle. Mettiti dietro quell’altra porta, gli ha detto il papà dopo l’intervallo, e il piccolo Mathias si è piazzato proprio dietro quella giusta, in tempo per vedere la doppietta del babbo, per essere cercato e abbracciato da lui, in quel momento unico dei padri e dei figli contenti insieme.
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