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Delio Rossi: “Mi manca il campo. Vi racconto Lotito e Zamparini”

L'allenatore racconta il suo passato e spiega la differenza tra i vari presidenti

Alessandro De Felice

Delio Rossi parla ai microfoni del Corriere dello Sport e non nasconde come in questi momenti senza squadra gli manchi moltissimo il campo. L'ex tecnico di Lazio e Palermo parla anche dei suoi ex presidente e spiega come ognuno sia diverso dall'altro.

Per parlare di altri presidenti particolari, come è stato il suo rapporto col Palermo e con Zamparini? 

«Non tutti i presidenti sono uguali. Zamparini è diverso da Lotito, è diverso da Aliberti, è diverso da tutti quelli che ho avuto. Hanno una caratteristica: dopo un po’ pensano tutti di capirci di calcio. Molte volte è vero, ma se io e lei vediamo una partita, la vediamo alla stessa maniera e magari concordiamo nell’individuare delle défaillances, delle difficoltà, dei difetti. La differenza è che, nel momento in cui lei ha visto queste mancanze, è finito il suo lavoro. Lì invece inizia il mio lavoro. Questa è la diversità. Molti pensano che sia facile, che basti fare questo o quest’altro. No, non è così, anche perché il calcio è come la scuola. Bisogna insegnare: uno pensa che partire da A e poi andare a C sia sempre un fatto graduale, lineare. Invece non è così perché parti da A poi vai a B ma poi ti sei dimenticato A e poi può darsi che C lo sai fare ma poi devi ritornare indietro. Il bello dell’insegnamento, dell’apprendimento è questo, è l’attenzione costante, perché se dai per scontato qualcosa, sbagli. Io alleno sempre come fosse la prima volta, anche se sono da quattro anni con una squadra, perché se non rinverdisci certi concetti con i giocatori, finisci con perderli. Invece i presidenti pensano in maniera erronea che un allenatore vale un altro e pensano che allenare sia facile. Non è così semplice. Per lo meno non è così schematico».

Cosa le manca, in questo tempo senza una squadra da guidare? 

«Il campo. Ma quando parlo del campo non mi manca la panchina, mi manca la quotidianità, cioè l’odore dell’erba, andare lì e fare le selezioni dei giocatori magari al buio, insegnare ad un ragazzo la posizione dei piedi, come si mette il piede d’appoggio, come si crossa oppure tenerlo lì a lavorare sul sinistro che magari è solo destro. Mi manca questo, non mi manca la panchina, mi manca la quotidianità del lavoro, di sentire il profumo dell’erba del campo di gioco. Non mi manca la domenica. La domenica, secondo me, è il giorno nel quale l’allenatore incide di meno. Tutti pensano che sia il momento decisivo, se fa un cambio, se non lo fa. Invece se hai lavorato bene durante la settimana, la domenica è solo la fotografia di quello che hai fatto».

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