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Dotto: “Scudetto? L’Inter avrebbe dovuto vincerlo con giornate d’anticipo. E Inzaghi…”

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Giancarlo Dotto, giornalista, sul Corriere dello Sport traccia così un bilancio delle carriere di Simone Inzaghi e di Stefano Pioli

Matteo Pifferi

Giancarlo Dotto, giornalista, sul Corriere dello Sport traccia così un bilancio delle carriere di Simone Inzaghi e di Stefano Pioli:

"Comunque finirà, sarà l’ubriacante prima volta per l’uomo di Parma o per quello di Piacenza. Se nasci figlio di nessuno non è facile diventare qualcuno o padre di qualcuno, ma se arrivi alla mezza età dei cinquant’anni che sei nessuno, diventare qualcuno diventa decisamente un affare complicato. Non me ne vogliano Simone (Inzaghi) e Stefano (Pioli), due persone eccellenti a giudizio unanime, due allenatori capaci, ma è chiaro che qui il “nessuno” si riferisce al feroce quanto arido e dunque ottuso parametro delle coppe lucidate e messe in bacheca. Zero titoli come allenatore, nel caso di Pioli in più di venti anni di panchina, se escludiamo un campionato vinto con gli allievi del Bologna. Gli è andata molto meglio con gli scarpini ai piedi, titoli a bizzeffe, ma quasi non c’è gusto avendo giocato tre anni a rimorchio della grande Juventus di Platinì, Scirea, Tardelli, Cabrini, Furino e Boniek. Meno afasico il palmarès di Simone Inzaghi da allenatore. Diverse coppe italiane tra Lazio e Inter, alla corte di Lotito e alla guida di squadre mai banali, poi a Milano sulla scia di Antonio Conte. Detto questo e ribadito anche che ci sono salvezze (per dire, quanti titoli vale la possibile, probabile salvezza di Nicola alla Salernitana?) o promozioni che valgono almeno quanto uno scudetto, l’eventuale scudetto vinto in una piazza come Milano sarà la fionda per quel transfert assoluto dall’esercito dei “nessuno o quasi” alla pattuglia eletta dei “qualcuno”. La storia da raccontare alle folle, se non a se stesso (Arrigo Sacchi, ad esempio, ma non è il solo, preferisce bearsi dei suoi successi al Fusignano). In comune i due, oltre l’origine emiliana e i trascorsi non di prima fila come calciatori, hanno anche il passato a Formello, più corposo e benevolo per Simone, decisamente meno per Stefano che uscì stremato dalle stringhe di Lotito, piccolo e smunto in una divisa troppo grande".

"La spada di Damocle di Simone Inzaghi si chiamava Antonio Conte. Arrivare dopo di lui, dopo la sua impresa, avendo perso Lukaku e Hakimi. Ed essendo l’antitesi del tremendismo contiano e dei suoi furori da feroce salentino. Un uomo moderato, un allenatore di buon senso, capace di sintonie non banali con i calciatori. Della specie dei Carlo Ancelotti e dello stesso Pioli, per capirci, ma senza il genio contadino del primo e l’acume tattico del secondo. Dietro le sue posture da damerino, un uomo autentico e passionale che lascia tutto quello che ha nel suo mestiere, tanto o poco che sia, voce inclusa (l’unica cosa in comune con l’altro afono Conte). Lo scudetto, nel suo caso, sarebbe una sbornia solo perché oggi, alla vigilia, altamente improbabile e perché successivo alla felicità sempre preziosa di aver mandato a casa in tutta mestizia quelli della Juve in Coppa Italia. Organico alla mano, e andamento alla mano, questo campionato Inzaghi avrebbe dovuto vincerlo con giornate di anticipo. Lui, uomo onesto, è il primo a saperlo".

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