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Garlando: “Mancini visionario, ha rivoluzionato il nostro calcio. Adesso va seguito”

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Intervenuto sulle colonne de La Gazzetta dello Sport, Luigi Garlando ha analizzato l'impresa dell'Italia e di Roberto Mancini

Matteo Pifferi

Intervenuto sulle colonne de La Gazzetta dello Sport, Luigi Garlando ha analizzato l'impresa dell'Italia e di Roberto Mancini.

"La verità è che nessuno vedeva ciò che vedeva Roberto Mancini quando ha preso in mano la Nazionale. A chi, in confidenza, gli chiedeva: «Ma chi te lo ha fatto fare?», Mancini rispondeva stupito: «Ma guarda che questo è un gruppo giovane molto forte. Possiamo vincere Europeo e Mondiale». Sì, certo… Noi vedevamo una Nazionale che in 180 minuti non era riuscita a segnare un solo gol alla Svezia, cacciata con ignominia dalle 32 partecipanti al Mondiale di Russia e invece lui vedeva già i futuri campioni d’Europa. Oltre alla visione, Mancini aveva ben chiara la strategia di rinascita. Non bastava ricominciare a vincere, bisognava restituire autostima a una Nazionale depressa e umiliata. Bisognava trovare il modo per far sentire forti quei ragazzi. Come? Insegnando loro un gioco da dominatori che li costringesse a tenere sempre il pallone, cioè lo scettro del comando, e a non scappare davanti al pericolo, ma, al contrario, a correre in avanti per recuperare lo scettro nel momento in cui ce lo avessero portato via. Era una vera e propria rivoluzione rispetto alla tradizione del nostro calcio che raccomandava di rintanarsi in difesa e di osare solo in contropiede. Una tattica da guerriglieri, tipica dei popoli storicamente assoggettati. Mancini proponeva invece un calcio di governo. Se la rivoluzione fosse riuscita, grazie a quella esaltante sensazione di dominio e ai buoni risultati conseguenti, l’Italia sarebbe rifiorita. Con queste convinzioni fondanti, Mancini si è messo davanti alla lavagna a studiare la forma tattica migliore per realizzarle: sceglie il 4-3-3 con l’occupazione di 5 posizioni d’attacco, grazie all’aggressione degli interni negli interspazi del tridente offensivo. Il modulo però rivela due lacune".

"La prima: la falange a 5 esilia esageratamente Insigne in periferia, troppo largo a sinistra per ispirare da trequartista. Seconda lacuna: se alzo entrambi i mediani, rischio di ritrovarmi il solo centrale, Jorginho, a interdire le eventuali ripartenze. Infatti nel sofferto debutto ufficiale della nuova Italia in Nations League, a Bologna, settembre 2018, contro la Polonia, Zielinski e Lewandowski ci infilzano a ripetizione. Mancini e i suoi collaboratori tattici tornano alla lavagna e, di proposta in proposta, sboccia l’idea della svolta: alziamo un mediano solo; per completare la falange a 5 facciamo salire il terzino sinistro, che ha caratteristiche offensive, Emerson Palmieri; in questo modo, Insigne può accentrarsi per rifinire e terremo in copertura due mediani. Lorenzo, tenuto sciaguratamente in panchina contro la Svezia a San Siro, simbolo dell’Apocalisse di Ventura, diventava centrale nel progetto di rinascita. L’assetto risultava così più equilibrato e dava alla manovra una sceneggiatura definitiva: impostazione a 3, attacco a 5, pressing immediato a palla persa e, in fase di ripiegamento, due linee difensive a 4. Con l’esplosione di Spinazzola, al posto di Emerson, il modulo avrebbe pagato ancora di più. Mancava ancora un tocco, il soffio vitale che avrebbe dato un’anima all’organismo tattico: il doppio play. Il colpo di tacco del Mancio. Accanto al regista Jorginho, non un mediano incursore, ma un altro playmaker, Verratti, per esasperare la vocazione al palleggio, al possesso e al dominio".

"I due si annusano la prima volta nell’amichevole di Marassi con l’Ucraina, ottobre 2018, e si trovano subito. Può cominciare la cavalcata degli Invincibili. Visione, strategia tattica, risultati. Manca l’ultimo ingrediente per completare il capolavoro che porterà al titolo europeo: lo spirito di gruppo. Mancini lo ha coltivato con una pazienza contadina e alla fine ha ottenuto un’empatia paragonabile a quelle dell’Italia di Bearzot ’82 e di Lippi 2006. Fondamentale l’appoggio a due leader come Bonucci e Chiellini che hanno amalgamato saggiamente l’anima più giovane del gruppo con quella più esperta. Moise Kean è stato bocciato non tanto per ragioni tecniche, quando perché faticava a relazionarsi con i compagni. Mancini voleva presentarsi all’Europeo con un gruppo connesso, unito e solidale. Alla terza partita romana aveva già fatto scendere in campo 25 azzurri su 26. Tutti protagonisti. Le intese di campo, l’allegria in ritiro, i canti sul pullman, l’affetto per lo sfortunato Spinazzola, preteso a Londra in stampelle per la finale, hanno fatto capire che il gruppo è stata la nostra forza. Braveheart per gli scozzesi, il più elegante dell’Europeo, il più sexy, il più bravo… Mancini, osannato nel mondo, fa più pubblicità di Mastrota. Ora speriamo che diventi un modello in Italia e che il suo calcio faccia scuola. Chi vince, scrive la storia. Con pochi allenamenti, ogni 3 mesi, Roberto ha insegnato alla Nazionale un gioco rivoluzionario. È stato il suo vero capolavoro. Ha fatto cadere la foglia di fico a tanti allenatori che, pur lavorando ogni giorno, non riescono a dare un’identità forte alle loro squadre. Auguriamoci che il «se ci divertiamo, domani vinciamo» di Mancini, alla vigilia della finale, sostituisca il «se volete divertirvi, andate al circo» di Allegri".

"All’Europeo ci siamo divertiti e vorremmo divertirci anche in campionato. Vorremmo vedere squadre che dopo il terzo gol, cerchino il quarto come l’Italia nelle prime tre partite romane e non si accontentino del corto muso. Non è vero che il risultato è la sola cosa che conta. I ragazzi di Mancini hanno dimostrato che il merito, la bellezza, l’entusiasmo, i sorrisi non contano di meno. Il migliore del torneo è stato Donnarumma, il gol più importante lo ha segnato Bonucci, come Materazzi nella finale mondiale 2006, nessuno ha marcato meglio di Chiellini. Abbiamo continuato a valorizzare le nostre conoscenze difensive, ma Mancini ha dimostrato che possiamo fare molto altro: creare, dominare, attaccare. Alla faccia di chi sostiene che non possiamo palleggiare perché non siamo spagnoli, né pressare perché non siamo olandesi".

"Chi sfotte i costruttori dal basso, tenga a mente il gol di Chiesa alla Spagna che è sgorgato dai guanti di Donnarumma e dai piedi di Verratti che gli stava accanto. Con il calcio rivoluzionato di Mancini, la Nazionale ha vinto l’Europeo dopo 53 anni. Ha dimostrato che oltreconfine funziona ed è sostenibile. Se dopo 11 anni, un club italiano vuole tornare a vincere una Champions, forse sarà bene che si ispiri. Forse i nazionali, reduci da un’esperienza così esaltante, torneranno nei club e ne parleranno ai loro mister: perché non lo facciamo anche noi? L’augurio è che i tanti tecnici che da anni si sono messi sulla strada del gioco, la stessa di Mancini, prendano più forza e credibilità e che l’impresa azzurra renda più divertente e più competitivo il nostro campionato: sarebbe un altro colpo di tacco del Mancio".

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