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Gravina: “FIGC? Il commissariamento certificherebbe l’incapacità della classe dirigente”

Il candidato alla presidenza della Federcalcio ha rilasciato un'intervista a Libero

Marco Astori

In una lunga intervista concessa al quotidiano Libero, il candidato alla presidenza della Federcalcio, l'attuale presidente della lega Pro Gabriele Gravina ha fatto il punto della situazione in FIGC, in ottica elezioni, che avverranno lunedì.

Lunedì il calcio italiano avrà un nuovo presidente? Oppure vincerà la litigiosità con il rischio di un commissariamento?

«Quella che all’esterno si coglie come litigiosità, è una pluralità di opinioni e visioni. Le elezioni hanno consentito alle componenti di confrontarsi, al proprio interno e con le altre. Ora serve una sintesi: il commissariamento certificherebbe l’incapacità di una classe dirigente».

La Lega A si presenta senza un presidente, che potrebbe presto essere Carlo Tavecchio. Che immagine dà la massima serie?

«La Serie A ha un peso di influenza e leadership che, per vari motivi, non è riuscita ad esercitare. Così anche il confronto elettorale ne ha risentito. Ora ci sono 20 grandi imprenditori che devono fare le loro scelte in libertà e democrazia. La qualità delle idee e lo spessore degli uomini del calcio dovranno essere il vantaggio competitivo per ridare entusiasmo al nostro calcio».

I club “riformisti” - Juve, Inter, Roma - la appoggiano e chiedono a Tommasi (che oggi potrebbe ufficilizzare il ritiro) di unire le forze contro Sibilia. Si può fare?

«L’Assocalciatori ha condiviso un percorso di collaborazione con la Lega Pro, non so invece come potrà convergere con la Lega Dilettanti. In generale, le componenti tecniche (allenatori, calciatori, arbitri, ndr) possono dare un grande contributo, ma la loro funzione può essere valorizzata solo se la Figc comincia a ragionare da azienda».

Nel programma parla di sei microcosmi di intervento. Qual è il più importante?

«La sostenibilità è l’obiettivo finale cui deve tendere tutta l’azione strategica. Attraverso la valorizzazione dei due asset principali di lungo periodo - il patrimonio giovanile e quello infrastrutturale - possiamo avviare il ciclo virtuoso».

Però nella sua Serie C sono fallite quest’anno Modena e Vicenza...

«Il sistema sportivo fa fatica, a causa delle troppe rigidità, a individuare un piano gestionale di equilibrio. Nel travaso tra B e C, per esempio, tanti club non riescono a riprogrammare il proprio modello, esponendosi alle crisi. Con i nuovi controlli, il sistema non rinvia più i problemi ma costringe ad affrontarli».

Lei propone il professionismo per 40 club tra A e B e il semiprofessionismo in C. Le sue società sono pronte?

«Il semiprofessionismo può essere una grande oppor- tunità per tutto il mondo sportivo Coni: può dare equilibrio, migliorare la gestione delle risorse e valorizzare il ruolo sociale. Le società di Lega Pro hanno condiviso questo percorso, nessuno glielo ha imposto. Da noi funziona così: abbiamo dimostrato di essere “laboratorio” di innovazioni e di ragionare in un’ottica di sistema. Speriamo di riuscire a trasferire questo spirito a tutto il movimento».

Le seconde squadre in C aiuteranno i giovani?

«Premesso che sono stato il primo a parlarne due anni fa, ora vedo che sembrano la panacea di tutti i mali. Ma non può essere un semplice spot elettorale né un’imposizione dall’alto. Serve un ragionamento circa le modalità di inserimento, lo status e l’età dei calciatori, gli eventuali vincoli ecc. Serve una filiera, che assecondi la maturazione dei giovani mentre migliora la qualità formativa, a cominciare dalle scuole calcio. Altrimenti è come discutere adesso del prossimo ct: non serve fare nomi, urgono idee per dare una nuova rotta al movimento».

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