C'è sempre un posto dove puoi sentirti straordinario, devi solo lasciare che quel posto ti trovi. Tutta la carriera d’allenatore di Zdenek Zeman è la creazione di quel posto: costruzione, consolidamento e poi abbandono. Quando gli lasciano il tempo di farlo, rende quel posto straordinario per i calciatori che ci passano, prima ancora che per se stesso. Quest’anno tocca al Cagliari, è bastato vedere Victor Ibarbo superare Dodò in flashforward, passando dalla modalità calcio a quella Formula Uno, per capire che era la partita della svolta. Zeman merita rispetto non perché sa ancora offrire dimostrazioni calcistiche capaci di perturbare squadre e allenatori, ridimensionando Mazzarri, l’Inter e soprattutto la sua difesa attraverso una vittoria schiacciante a San Siro, ma perché padroneggia in maniera singolarissima gli animi dei suoi calciatori. In quelle aggrovigliate e imbarazzanti situazioni che da solo crea e risolve. Portando il calcio, il suo calcio, in una dimensione narrativa: con colpi di scena, cambi di ritmo e attori, e dove chi guarda, per brevità, vede solo sconfitte e vittorie, quando invece c’è un mondo. Che sembra sul punto di sparire, perduto, da dimenticare, e che invece ogni volta stupisce.
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ilMessaggero – Il Cagliari sbanca San Siro. Torna il calcio letterario di Zeman…
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PUREZZA E NARRATIVA -Zeman, sovraccaricando e alleggerendo le squadre che allena, crea una tensione che è quella inaspettata e pura del calcio. Passa il tempo, cambiano i campionati, ne soffre, ma non cambia il suo modo di essere, né quello di giocare. Zeman è quello che Oliver Sacks definirebbe un “osservatore permanente”, in continua ricerca dei nuovi calciatori da portare in campo, da fare uomini, da lanciare e lasciare. È sempre quello di Praga, che usciva con due palloni «uno per me e uno per chi non poteva permetterselo», pronto a regalare il gioco e l’occasione, l’educazione e il tempo futuro, e che no, non ha smesso di sognare Stefan Kovács, impazzendo per l’Ajax. Nella buona o nella cattiva sorte, sotto di gol e mai di azioni, Zeman prova a rifare se stesso, nella prospettiva Kovács. E dopo due sconfitte e un pareggio, trova la vittoria, a modo suo, il Cagliari ne segna quattro che potevano essere cinque se Cossu non messaggiasse il suo rigore nelle mani di Handanovic. Poi, Mazzarri farà una cronaca dal suo fronte tutta basata su Nagatomo e i suoi due gialli in 3 minuti. Lorenzo Crisetig, che sostituiva Daniele Conti, fa Pirlo lanciando Sau che – complice sempre il fuoritempo Nagatomo – si ritrova solo col pallone da girare in porta. C’è sempre un posto dove puoi sentirti straordinario devi solo lasciare che quel posto ti trovi o che te lo indichi Zeman. Chiedete ad Albin Ekdal che segna tre gol, e si copre la bocca come un bimbo che l’ha fatta grossa. Lo svedese per tre volte non solo è apparso il più rapido di tutta la difesa interista, chiusa in un grumo di uomini distratti e ogni volta rotta a budino, ma ha mostrato una precisione di tiro, una velocità di sguardo e una scelta di tempo e posizione, perfette. Per tre volte si trova davanti ad Handanovic nella condizione di dover solo mirare l’angolo giusto, e segna. Mentre intorno il Cagliari per un tempo appariva un tifone asiatico, di quelli rapidi e improvvisi, che Thohir conosce bene e che inerme ha visto passare su di sé e sulla squadra, quando ormai sembrava chiaro per tutti che fosse la terza del campionato. E, quando Osvaldo aveva subito pareggiato, su passaggio di Palacio che da principe azzurro svegliava la bella addormentata difesa del Cagliari, pareva che Zeman e i suoi, avessero di nuovo la strada segnata, e poteva partire la fucilazione. Invece, tutto cambia, il Cagliari segna e segna, Zeman sorride, contento d’aver indicato il posto dove Ibarbo, Sau e soprattutto Ekdal possono sentirsi straordinari, che non è San Siro ma il suo Cagliari, che comincia a somigliargli.
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