Ma come si fa a chiamarlo ancora Derby d’Italia? Lo è forse per una rivalità storica che staziona costantemente sul livello di guardia per decollare periodicamente a picchi altissimi (Vucinic-Guarin l’ultimo caso). Ma se fra Juve e Inter un derby dev’esserci per forza, allora in questo momento è quello del cannocchiale, quello che serve per coprire la distanza fra i due club, che rimane sempre un campo minato: ma c’è chi lo sorvola fumando la pipa e chi deve arrancare e stare attento a non saltare per aria. E non solo per i 23 punti di distacco. Juve e Inter sono lontanissime nella gestione del mercato, nella situazione societaria, nella programmazione, nel clima. Forse, per usare un termine che piace alla gente che piace, è perfino un fatto di brand: di lusso, quello bianconero, poco trendy quello nerazzurro. Riportarlo a splendere è la mission che si è data Erick Thohir (ieri in visita ad Appiano, non tornava da prima del derby col Milan, ultima vittoria nerazzurra), la stessa impresa nel quale si è lanciato Andrea Agnelli poco più di tre anni fa con la Signora.
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Ma se per quest’ultimo dna, vissuto e tradizione di famiglia hanno contribuito e aiutato, per l’indonesiano ci sarà da lavorare molto, molto di più. E infatti, pronti via, Beppe Marotta prima ha pubblicamente rimproverato l’indonesiano, poi ha consegnato a Conte Pablo Osvaldo, centravanti dell’Italia, prestito gratuito dal Southampton, diritto di riscatto a 18 milioni pagabili in tre anni. Un colpaccio sotto il naso,ungiocatoreche l’Inter seguiva da tempo e che la Juve ha fatto suo rapidamente, mentre, per portare rinforzi a Mazzarri, lo staff nerazzurro incontra difficoltà di ogni tipo: i presidenti alla Lotito (che non ha fatto sconti sfruttando al meglio i tempi stretti per Hernanes, che ieri ha superato le visite mediche: è il primo vero colpo dell’uomo di Giacarta), le ristrettezze economiche (Thohir dopo aver ripianato i debiti pregressi - si dice 80 milioni - deve muoversi vincolato a stringenti parametri bancari), la tifoseria insoddisfatta, che come un Movimento 5 Stelle qualunque pretende di entrare nella stanza dei bottoni.
Legittima la contestazione nel caso Guarin, ma poi il risultato ottenuto è stato mettere nei guai Mazzarri, rimasto senza il colombiano e senza Vucinic. È vero, il dopo Calciopoli a Torino è stato epocale ed uscirne difficoltoso, la gestione della “triadina” Blanc-Cobolli-Secco è stata fallimentare. Durante quei momenti di passaggio, l’Inter al contrario si siedeva sul trono mondiale. Ma oggi i percorsi si sono quasi invertiti. La Juventus è una realtà consolidata dove i ruoli sono definiti e le figure riconoscibili in ogni ambito. All’Inter questo non c’è, non ancora, il passaggio da Moratti a Thohir è stato più sanguinoso di quello che i protagonisti immaginavano. Il tempo sarà un alleato, la fretta no, ma senza paletti fermi piantati da subito il rilancio sarà ancora più difficoltoso. E potrebbero esserci nuovi venti di contestazione, causati sì dai risultati che latitano, ma pure da un progetto mancante che finora si è visto solo sui titoli dei giornali.
Domani, poi, si gioca. La Juve di fine mercato è la stessa, forse più forte e consapevole, grossi aggiornamenti non servivano. Mazzarri, invece, stamani ha ritrovato nella cassetta della posta la letterina con i regali che aveva spedito prima di Natale. Almeno Belfodil l’hanno mandato a Livorno e Chivu annuncia il ritiro.
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