Non sarà il Colosseo, ma gli somiglierà molto nelle intenzioni. Soprattutto, il nuovo stadio della Roma dovrà offrire la spinta decisiva e definitiva a città, squadra e progetto. Per questo James Pallotta l’ha voluto a tutti i costi. E oggi salirà al Campidoglio per presentare il nuovo anfiteatro cittadino. Dopo essere entrato in punta di piedi nel calcio italiano - con 50 milioni di euro e quasi facendosi passare per la controfigura di Thomas Di Benedetto – il patron americano poserà un’importantissi - ma prima pietra virtuale non solo sulla mappa della Capitale ma nella storia del calcio italiano. E l’arrivo contemporaneo di Barack Obama èuna curiosa coincidenza che aumenta il fascino del momento. Nato nel 2011 con l’acquisizio - ne delle quote di Unicredit, il piano del finanziere paisà ha avuto non poche battute di arresto: Luis Enrique prima e Zeman poi sul piano tecnico, la figuraccia dello sceicco di Perugia dal punto di vista dei conti e dell’immagine. Eppure dopo nemmeno tre anni - e qualche mese di ritardo sugli annunci iniziali - oggi può lanciare la corsa all’impianto giallorosso del futuro: 52 mila posti a Tor di Valle ripartendo dall’ex ippodromo. L’area è di proprietà del costruttore Parnasi che sarà project manager dell’avventura. A disegnare la struttura è il famoso Dan Meis, architetto dei grandi stadi Usa: una scelta importante che ha però scatenato le invidie delle archistar nostrane, in particolare il tifoso giallorosso Fuksas (che c’è rimasto maluccio: «Ho visto il progetto orrendo e di cattivo gusto»). Perché non si possono concedere “favori”in un progetto da 200 milioni di investimenti e un miliardo di valore complessivo che dovrebbero portare alla nascita dell’«impianto più high tech d’Europa».
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Libero – Pallotta e Thohir pianificano il futuro. Saranno gli stranieri a salvarci?
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Addio dunque entro due anni all’Olimpico, simbolo dell’italianità nel fare calcio e non solo, dove la gestione del Coni ha portato anche il Sei Nazioni di rugby: una politica che ha fatto storcere il naso alle due squadre della Capitale. Un ideale passaggio di consegne non da poco. Dopo la mosca bianca (e nera) Juventus, il secondo grande stadio di proprietà avrà una mano statunitense e cuore romano. Costi, cubature, garanzie e infrastrutture: si parlerà di tutto nell’incontro sulla “Capitol hill” romana. In serata poi show all’americana all’Eur con imprenditori e sponsor per parlare già di marketing e hospitality. Meno salotti e più business, poche chiacchiere e tante azione. Così come il ritmo che il vulcanico Erick Thohir - di nuovo a Milano dove è ormai è presenza fissa: è in città per la terza volta in 35 giorni, smentendo chi ne lamentava la distanza - ha impresso alla sua Inter. Dopo aver rilevato club e debiti del ventennio morattiano vincente e spendaccione (nel fine settimana il cda per ratificare i conti in rosso), ET ha ordinato la ripartenza da zero: il club diventa un’azienda dove tutti sono sotto esame, dal massimo dirigente all’allenatore («Siamo d’accordo su tutto», ha detto Mazzarri, «del mio rinnovo parleremo a fine campionato») fino ai giocatori. Bocciata l’ipotesi Area Expo lasciata al Milan (che potrà costruirvi dal 2016), il magnate indonesiano si dà un anno per completare il dossier-stadio. Intanto, opera sul mercato come il collega americano de Roma: Hernanes, Vidic, un pezzo di Sagna e un filo sottile che porta a Hernandez. Ma pure la forte suggestione di un nome pesante tra Dzeko, Torres e Morata.
Ancora niente a che vedere con la sfilza di acquisti e cessioni di Pallotta - e Sabatini - tra Lamela, Osvaldo, Marquinhos, Strootman, Benatia e Pjanic (col contratto da rinnovare), ma il tempo per recuperare non manca. Con gli americani alle porte di Cagliari e altri magnati che mirano al Bari del dopo Matarrese, saranno gli stranieri a salvare il calcio italiano?
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