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Mancini: “La mia Inter era fisica, l’Italia è tecnica. Ma nel calcio è importante avere…”

Le parole del ct azzurro ai microfoni di Esquire

Marco Astori

Lunga intervista concessa, ai microfoni della rivista Esquire, dal ct della Nazionale Roberto Mancini. Tra i temi affrontati dal tecnico, anche le differenze tra la sua prima Inter, molto fisica, e l'attuale rosa dell'Italia, decisamente più tecnica: "Se ci sono tecnica e fisico insieme è meglio, perché a volte le partite si decidono con un calcio piazzato, un calcio d’angolo. Ma il calcio si gioca con i piedi, prima di tutto è importante avere quelli".

LA NAZIONALE - "I miei princìpi sono quelli di un calcio offensivo. Sono sempre stati quelli, poi magari a volte non ce la fai. Il momento era difficile, molti dicevano che in Italia non c’erano giocatori. Ma io penso che l’Italia abbia sempre cresciuto giocatori bravi, anche nei momenti difficili. Ce n'erano però, e visto che erano anche giovani si poteva provare a fare qualcosa di diverso".

I GIOVANI - "Alcuni di loro dovrebbero giocare di più. O comunque giocano da poco tempo con regolarità. Ai miei tempi i giocatori di vent’anni avevano alle spalle già 150 presenze in campionato, più le coppe internazionali. Sono tutti giovani bravi tecnicamente e con voglia di affermarsi. Questo può essere il nostro vantaggio. Ma è anche la conseguenza della poca esperienza. A volte esagerano su certe cose. L’esperienza che accumuli, soprattutto nelle partite internazionali, è quello che ti fa fare il salto di qualità. Penso che quello che può fare la Nazionale per il movimento calcistico italiano sia questo. Chiamare giocatori che nessuno conosce, che magari giocano nelle serie inferiori, perché ce ne sono, o che non giocano, ma che noi conosciamo perché hanno fatto le nazionali giovanili. E questo può essere d’aiuto ai club. Vedo che molte squadre stanno ricominciando a puntare sui giovani e spero che, nel giro di un paio d’anni, si possa tornare a vedere squadre con almeno cinque o sei italiani bravi in campo".

MANCINI ALLENATORE - " "Pensavo, come molti, che sia semplice passare da giocatore a allenatore. Ma non è così, qualcosa del giocatore nei primi anni ti rimane. Qualche anno di esperienza ci vuole. A volte i giocatori sbagliano cose banali, che ho dovuto capire che si possono sbagliare. È una cosa che ci ho messo un po’ ad accettare".

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