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Moratti: “Tornare? Invadenza brutta cosa. Spero che Zhang resti. Scudetto? 2 nomi”

Come tutti i tifosi nerazzurri Massimo Moratti è al settimo cielo. L'ex presidente commenta a Repubblica lo scudetto nerazzurro numero 19

Gianni Pampinella

Come tutti i tifosi nerazzurri Massimo Moratti è al settimo cielo. Undici anni dopo l'Inter vince lo scudetto, il numero 19 della sua lunga e gloriosa storia. Intervistato da Repubblica, l'ex presidente nerazzurro esprime tutta la sua felicità per il traguardo raggiunto dalla squadra di Conte. "Non so descrivere il mio stato d’animo, rischio di dire banalità. Felicità, senza dubbio. E leggerezza, perché non sei stato un anno aggrappato con i denti a un risultato. Parlo da imprenditore e da tifoso. Se sei parte di uno staff la gioia per un successo ti centuplica l’adrenalina. Purtroppo vale anche per l’opposto, e di sconfitte e amarezze ne ho provate tante. Guardare le cose stando un passo indietro rende tutto più dolce, forse più autentico, più bello. È ciò che ti insegnano i critici d’arte: la giusta distanza è il segreto per capire un quadro». Si dice anche che per scoprire se un uomo è stato felice bisogna aspettare il suo ultimo giorno".

Lei fra il 1995 e il 2014 ha conquistato 16 titoli, tra i quali scudetti vinti sul filo di lana. Questa volta è stata invece una progressione. Meglio così?

«È stato un lungo respiro. Da un certo momento in poi si è capito che l’Inter avrebbe vinto. Il derby di ritorno con il Milan, a proposito complimenti a Pioli, credo abbia convinto la squadra del suo destino».

Avete vinto per merito di un pezzo di Juventus.

«Direi che la Juventus ha deciso di non giocarlo questo campionato».

A dire il vero mi riferivo a Marotta e Conte. Ricorda la stagione infinita dei veleni, gli scudetti revocati e quelli di carta, gli insulti sulla rotta Torino-Milano andata e ritorno?

«Ricordo, ricordo. Il calcio a volte ti fa dire cose cattive al di là delle ragioni e dei torti. Non rinnego adesso le mie convinzioni di allora, forse userei parole differenti per esprimerle. E il calcio, non dimentichiamolo, è anche una impresa. Succede che quelli bravi da avversari lo diventino ancora di più quando li porti dalla tua parte. Sono le leggi del mercato. Marotta sarebbe un ottimo amministratore delegato in qualsiasi grande società. L’Inter non lo ha preso per fare dispetto alla Juve».

 Getty Images

Un nome solo come simbolo della stagione?

«Antonio Conte. Ha saputo giocare più di un ruolo in commedia e lo ha fatto a modo suo, consapevole delle difficoltà che aveva attorno. Ha sorretto, blandito, minacciato, recuperato anime sconfortate e armonia dell’ambiente. La squadra è diventata società, era più facile abbandonare la scialuppa in mare e stare a vedere su quale spiaggia sarebbe approdata. Ma sarebbe parziale fermarsi al Conte motivatore: è un grande tecnico, pensi soltanto a come ha saputo ricostruire Eriksen per farlo diventare determinante nello sprint decisivo».

Un giocatore solo?

«Ne dico due. Lukaku, uomo cassaforte, gigante protettore di bambini, uomo buono e generoso. Date la palla a lui e farà gol o lo farà fare a qualcuno. E Bastoni: modesto, intelligente, il futuro».

Una cartolina da spedire a Zhang?

«Il ragazzo si farà, canta Francesco De Gregori. Scherzi a parte, spero che porti buone notizie e rimanga, augurandoci che si possa presto tornare a riempire gli stadi in sicurezza».

Come giudica il progetto della Superlega europea?

«Un gravissimo errore nella forma e nella sostanza. Come applicare anche al calcio il concetto di classe in un momento storico che richiama piuttosto alla solidarietà. La migliore risposta l’hanno data i cittadini, tifosi e no, che sono scesi in piazza».

Come festeggia un non presidente?

«Qualcuno mi trascinerà da qualche parte, che dice: mi infilo la maglia di Recoba?».

Lasciamoci con un rimpianto.

«Non avere qui con noi mio fratello Gianmarco e poterlo abbracciare ancora una volta».

Voglia di tornare in società con un incarico dirigenziale?

«Direi di no. L’invadenza è una brutta cosa. Quest’anno ho visto tutte le partite dell’Inter, leggero come un bambino. È stato bello così».

(Repubblica)

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