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Perin: “Non sono l’untore. Virus nato in laboratorio. Se ci fossimo chiamati Inter o Juve…”

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La lunga intervista rilasciata dal portiere a Repubblica

Gianni Pampinella

"Siamo professionisti scrupolosi". Intervistato da Repubblica, Mattia Perin manda al mittente chi accusa i giocatori di essere disinvolti in certi comportamenti. "Al contrario, siamo molto scrupolosi. Nessuno toglie la mascherina, rispettiamo regole e distanziamenti, poi è chiaro che in campo veniamo a contatto, è inevitabile". Il portiere ci tiene a ribadire che "non sono l’untore del calcio italiano".

Si sente responsabile di qualcosa?

«E perché? Questa è una malattia subdola, la puoi prendere in taxi, oppure schiacciando il bottone di un ascensore. Nella mia famiglia sono tutti negativi. La verità è che in una dozzina di ore cambia il quadro clinico, neppure gli specialisti sanno molto del Covid 19. E sia chiaro che il caos di Juve-Napoli non è iniziato per colpa del Genoa»

Perché è successo proprio al Genoa?

«Poteva accadere a chiunque. Di sicuro, se ci fossimo chiamati Real Madrid, Inter o Juventus, saremmo stati rispettati di più. Sia chiaro che la malattia non è mai una colpa, ma un’eventualità che accade agli esseri umani».

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Però chi non rispetta i protocolli può favorirla.

«Basta con i cliché del calciatore ricco, viziato, privilegiato e menefreghista! Ho letto giudizi molto superficiali»

Non crede che continuare con il calcio internazionale sia troppo pericoloso? Cosa pensa di una “bolla” in stile basket americano?

«Con i miei compagni se ne parla, nessuno di noi è così esperto da sapere cosa sia meglio, però qualche sacrificio in più credo sia indispensabile. Giocare ogni tre giorni ci ha consumati dentro».

Giorgio Chiellini, il capitano della Nazionale, ha detto che il calcio deve andare avanti e che voi giocatori siete pronti a prendervi qualche rischio.

«Ha ragione. Il calcio non è solo uno svago, un passatempo: come dice Sacchi, è la cosa più importante tra le meno importanti. I miei nonni e i miei genitori avevano un bar in un quartiere popolare di Latina, io sono cresciuto ascoltando discussioni sul calcio e ho capito cosa rappresenta per tanta gente».

Ma senza pubblico che calcio è?

«Tristissimo. Gli stadi vuoti mi fanno piangere il cuore. La pandemia ci ha dimostrato che i tifosi sono essenziali quanto e più degli atleti, compresi i tifosi avversari».

Da malato, che idea si è fatto della pandemia?

«Resto convinto che tutto sia nato in laboratorio e non dalla trasmissione animale».

Ha avuto paura?

«La paura ha garantito la sopravvivenza alla specie umana. Però no, non c’è mai stato panico e devo ringraziare lo staff del Genoa, i dirigenti, il dottor Piero Gatto che si è ammalato pure lui e ci seguiva da casa, oltre al professor Matteo Bassetti del San Martino di Genova che ci ha fatto da angelo custode».

(Repubblica)