Tra le pagine dell'edizione odierna de La Gazzetta dello Sport, Ronaldo Il Fenomeno, ex centravanti, ha scritto una bellissima lettera per la scomparsa di Pelé, leggenda del calcio che ci ha lasciati ieri: "Non c’è consolazione nella consapevolezza: aspettavo, aspettavamo, questo momento da giorni, ma oggi sono triste perché se n’è andato un amico a cui ho voluto bene e che mi ha voluto bene, ancora prima che un emblema del nostro sport, e di tutta la storia dello sport. Un uomo diventato simbolo della bellezza del calcio. Lo hanno detto anche di me, ma quel soprannome che mi porto ancora addosso, Fenomeno, l’ho sempre sentito “largo” quando pensavo a quanto lo era stato lui: era Pelé, il vero Fenomeno.
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Ronaldo: “Pelé? Era lui il vero Fenomeno. Il mio ricordo più bello? Lo racconto”
Quando mi rendevo conto, ascoltando i racconti di chi lo ha visto dal vivo, di quanta gioia Pelé ha regalato a noi brasiliani, e a chi ha amato il calcio, quando scendeva in campo. Nel mio Paese, ma forse non solo lì, non c’è bambino o ragazzino della mia età che si sia avvicinato al calcio senza avere negli occhi vecchie immagini, magari filmati in bianco e nero, di quell’attaccante che segnava gol impossibili e al pallone faceva fare cose impossibili. Il più forte calciatore di tutti i tempi, per questo quando mi definivano il suo erede ho sempre sorriso: impossibile. Per questo non l’ho mai sentito come un peso, ma ho sempre voluto considerarlo un orgoglio.
Abbracciato così forte da chi gli ha voluto più bene, accompagnato in questo viaggio faticoso dall’amore della sua gente, che prega per lui da giorni, voglio credere che Pelé sia morto sereno. Con il sorriso che aveva quasi sempre in faccia e ti contagiava. Mi sorrideva ogni volta che ci incontravamo e ogni volta sapeva trovare una parola, un aneddoto, un consiglio, una riflessione che mi emozionavano quanto il fatto di trovarmi davanti ad un mito. Ma un suo ricordo “italiano”, uno dei più dolci che ho di lui, è fra quelli che mi porto dentro con più affetto. Era il 2000, da non molto mi ero rotto il tendine rotuleo nella “famosa” partita dell’Olimpico: l’infortunio più grave della mia carriera.
Pelé era in Italia, da Roma doveva andare a New York, ma prima decise di prendere un aereo per Milano: solo per salutarmi e darmi un abbraccio dei suoi. Venne a trovarmi a casa, lo accompagnò il suo amico Candido Cannavò, che voleva molto bene anche a me: quando scese dall’auto e il portiere del condominio capì chi era, per poco non svenne. Un incontro che ricordo come se fosse adesso. Avevo le stampelle, mi accompagnò tenendomi sotto braccio fuori in terrazzo, e di fronte a noi c’era San Siro, così vicino che ti sembrava di poterlo toccare. Mi raccontò di quando ci aveva giocato con il Santos e con il Brasile, di quando Angelo Moratti lo aveva comprato per l’Inter ma lui non se la sentì di lasciare il Brasile. Massimo, il mio presidente, che nel frattempo mi chiamò al telefonò per salutarlo, confermò tutto e allora gli chiesi se potevo far firmare a Pelè un contratto con l’Inter fino a gennaio, così avrebbe potuto giocare al mio posto, in attesa che guarissi: rideva come un pazzo.
Ci salutammo facendoci due promesse: mio figlio Ronald e suo figlio Joshua, che oggi ha 25 anni, avrebbero giocato a pallone insieme e io non sarei mancato alla festa per i suoi 60 anni. Poi mi abbracciò con un racconto che per me fu come una carezza, ma di quelle che ti fanno forza: mi ricordò del suo infortunio nel Mondiale 1966 e di come quattro anni dopo era in campo più forte di prima. «Oggi - mi disse - sono venuto anche a portarti questa sicurezza: se sei con Dio, passerà». Oggi Pelé è ancora più con Dio, ma la sua grandezza non passerà mai".
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