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Sacchi: “Calcio italiano come ai tempi delle caverne. Ecco perché il Napoli non ha vinto…”

L'ex allenatore ha un'idea ben chiara sul momento delicato attraversato dal calcio italiano

Francesco Parrone

Interpellato da la Repubblica, l'ex ct Arrigo Sacchi, ha parlato del momento attraversato dal calcio italiano che dovrà gustarsi il Mondialedi Russia da casa:

Il calcio italiano è davvero così lontano dai migliori?

"A parte il Napoli, siamo tornati nelle caverne, ancora fermi al “primo, non prenderle”. Ci affidiamo ai muscoli, ai chili, all’età e alla carriera di calciatori vecchi. In Italia viene considerato giovane chi ha 24 anni, all’estero chi ne ha 17. A volte vado a guardare le partite dei bambini e vedo allenatori che sbraitano e si agitano, ma nessuno che parli di gioco. E se la squadra passa in vantaggio, tutti indietro a difendere. Eppure, i maestri per primi dovrebbero sapere che il rischio è la base di ogni avventura".

Un problema tecnico o psicologico?

"Siamo perdenti a cominciare dalla testa. E non siamo neppure riusciti a definire il calcio. Un gioco? Uno spettacolo? Un fenomeno di costume? Un evento sociale? Manchiamo di stile, non abbiamo più un tratto distintivo e il pubblico non lo pretende: è stato abituato alla religione del risultato, altro non interessa. Siamo difensivi dentro. In Olanda e in Spagna ti fischiano se vinci giocando male, invece in Italia consideriamo la furbizia una virtù".

Gli olandesi, però, non stanno molto meglio di noi e il Mondiale lo vedranno da casa.

"Perché si sono messi a difendere individualmente, persino loro che hanno cambiato il calcio per sempre! L’ho detto a Gullit: vi siete smarriti, avete smesso di aggiornarvi".

Il Mondiale mostrerà qualcosa di nuovo?

"Non si può chiedere questo a una manifestazione che dura un mese: la Coppa è uno spot pubblicitario per il calcio, ma riguarda i giocatori e non il gioco. Dicono più cose il City di Guardiola e il Napoli di Sarri che un Mondiale intero".

Però il Napoli non ha vinto.

"È la cosa più importante vista in Italia da vent’anni. Aveva giocatori quasi sconosciuti, un fatturato minimo rispetto alla Juventus che gli ha preso pure l’uomo più forte, ma ha ricordato a tutti che la bellezza è un valore, non solo un sogno. Sarri è riuscito nell’impresa più difficile: allenare il pressing. Perché, vedete, il pressing i torinesi e i milanesi ce l’hanno nel Dna, la gente in città va di fretta, ma a Napoli non è così: dunque, certe imprese anche culturali valgono il doppio. Ma temo che senza Sarri tutto questo finirà, non me ne voglia il caro amico Ancelotti".

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