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Sacchi: “Finita 1-0, ma ci è andata bene. Ritmo fuori dalla portata dell’Italia”

Sacchi: “Finita 1-0, ma ci è andata bene. Ritmo fuori dalla portata dell’Italia” - immagine 1
L'ex ct ha analizzato sulle pagine de La Gazzetta dello Sport la sconfitta dell'Italia contro la Spagna e la prestazione degli azzurri
Andrea Della Sala Redattore 

L'ex ct Arrigo Sacchi ha analizzato sulle pagine de La Gazzetta dello Sport la sconfitta dell'Italia contro la Spagna e la prestazione degli azzurri:

"La fotografia della partita è presto fatta: c’era un collettivo organizzato contro un gruppo di giocatori che vagava per il campo. La differenza tra la Spagna e l’Italia, per quello che si è visto ieri sera, è enorme. La nazionale di De la Fuente pratica un calcio di dominio, ha conoscenze tecniche e tattiche, sa come muoversi e, soprattutto, lo fa con i giusti sincronismi. L’Italia, purtroppo, non è ancora squadra: ci vuole tempo, ci vuole pazienza. Da questa sconfitta dovremmo imparare parecchie cose, e mi auguro che cercheremo di far tesoro degli errori commessi senza farci prendere dalla solita presunzione".


Sacchi: “Finita 1-0, ma ci è andata bene. Ritmo fuori dalla portata dell’Italia”- immagine 2

"È finita 1-0 per la Spagna, ma dobbiamo essere onesti e ammettere che ci è andata bene: loro potevano tranquillamente segnare 5 o 6 gol, mentre noi non siamo mai stati pericolosi dalle parti di Unai Simon. Ho visto subito che sarebbe stata una serata complicata: gli azzurri parevano spaesati, quasi intimoriti, e questo atteggiamento è figlio di una mentalità che gli italiani si portano dentro da sempre. Noi non sappiamo ragionare «da collettivo», noi (intendo, come popolo) andiamo ognuno per i fatti nostri, siamo individualisti. La Spagna, al contrario, è stata un’architettura perfetta, ma per loro è più semplice: tutte le squadre spagnole giocano in quel modo, hanno nel Dna il desiderio di dominare l’avversario, di tenere il pallone, di andarlo a rubare quando lo perdono. I ragazzi di De la Fuente non fanno altro che muoversi in campo esattamente come capita loro di fare per tutta la stagione, mentre gli azzurri, se vogliono essere un collettivo, devono cambiare totalmente lo stile di gioco che praticano nei club.

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Parlavo prima degli errori in fase difensiva e, poiché una squadra di calcio è collegata da un filo sottile che tiene tutti assieme, è naturale che le difficoltà là dietro non abbiano consentito lo sviluppo della manovra in avanti. La Spagna ci ha aggredito in ogni zona, non si riusciva a tenere il pallone, e non lo hanno fatto giocatori che nella nostra Serie A sono tecnicamente validi, come ad esempio Dimarco. Perché, dunque, questa difficoltà? Semplice: la Spagna ci ha costretto a giocare a una velocità e un ritmo che sono al di fuori della nostra portata. A quella velocità e a quel ritmo, diventa difficile anche un banale controllo o un passaggio di due metri: non siamo abituati a questa intensità e sono emersi i nostri limiti. Ho sentito qualcuno sostenere che i nostri attaccanti non sono stati serviti: vero, ma loro quanto si sono mossi per ricevere il pallone? Scamacca è stato poco attivo, non ha dettato i tempi, non ha suggerito il passaggio, non è venuto incontro e non ha attaccato la profondità. Ma non si dia la colpa a lui, come non la si deve dare a Spalletti. Abbiamo ancora la partita contro la Croazia per poterci guadagnare la qualificazione, e in più dovremo dimostrare di aver imparato la lezione che la Spagna ci ha dato. Nessun dramma, dunque. Ma molta umiltà per capire dove abbiamo sbagliato.

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