«Scudetto? Noi ci siamo. Proveremo a vincerlo adesso, se la Serie A riprende, oppure l’anno prossimo. Arriviamo da lontano e non ci fermiamo qui». Nel corso di una lunga intervista concessa a Repubblica, il ds della Lazio Igli Tare ha parlato così della possibile che il calcio riprenda.
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Tare: “Calcio terapeutico, il Governo non ci aiuta. Modello tedesco il migliore, se ci fermiamo…”
Il direttore sportivo della Lazio ha rilasciato un'intervista a Repubblica
Volete continuare il campionato solo per interesse personale?
«Chi lo dice non ha capito niente. Ci sono ancora 36 punti in ballo e la Lazio non è così egoista o sciocca. Ma sappiamo che il calcio dà da vivere a 370 mila persone, se si ferma sarà il fallimento per tanti e l’Italia perderà pezzi di storia non solo sportiva. Sarà un disastro sociale. Fermarsi adesso vuol dire, quasi certamente, non ripartire neanche a settembre: molti mesi di inattività sarebbero allucinanti».
Tanti rischi, molta confusione e un ministro dello sport che rema contro: perché?
«Non posso pensare che il signor Spadafora sia così irresponsabile da farlo apposta, ma di certo esistono governi in Europa che vogliono aiutare il calcio: la Germania, la Spagna, l’Inghilterra. In Italia non è così, e neppure in Francia dove hanno bloccato tutto in via definitiva: e io penso che il governo francese perderà molte cause civili con i club. Evitiamo un’estate in tribunale anche noi. Ci stanno prendendo in giro, queste continue complicazioni sono ridicole. Siano più chiari, oppure le conseguenze si riveleranno enormi: economiche, sociali, sportive e psichiche».
Perché psichiche?
«La gente è in sofferenza nervosa e il calcio è terapeutico. Ne abbiamo bisogno in tanti. Il pallone può essere il segno della vita che ricomincia davvero».
Crede che il protocollo sanitario tedesco sia il migliore?
«Senza dubbio. Controlli a tappeto e se c’è un positivo si isola lui, non l’intero gruppo. Si gioca, e se poi qualcuno decide di tornare a casa può farlo, ma pagando di tasca propria i test settimanali per sé e i suoi famigliari. Alla Lazio, dopo gli esami sierologici siamo risultati tutti negativi e nessun giocatore si è mai allontanato da Roma».
Tra poco torneremo a fare quasi tutto, forse non a giocare a pallone: perché?
«Ci invidiano. Pensano che il calcio sia soltanto la serie A, invece sono migliaia di persone e famiglie che lavorano. Abbiamo il dovere di difenderle».
Esiste, questo famoso "metodo Tare"? Fare molto con poco.
«Ho uno staff di ottimi professionisti, e ho tanti amici in giro per il mondo che mi segnalano calciatori sconosciuti: il difficile è capire chi potrà diventare un campione. La Lazio cerca talenti di prospettiva, però bisogna avere la pazienza di aspettarli e non sempre una grande piazza ce l’ha. Con questo, non ci snatureremo. Pazienza, fiducia e coerenza. Non è un metodo, è una filosofia. Ho tracciato la mia strada studiando quelli più bravi».
Ad esempio?
«La Juve, sicuramente. Non vinci solo perché hai i giocatori migliori».
Chi è davvero Claudio Lotito?
«Un uomo coraggioso, deciso. Un presidente che sa il fatto suo e prende posizione. Una persona coerente che mi ha sempre appoggiato, anche all’inizio della mia carriera da dirigente, quando il rapporto tra noi non era facile. Mi diede due ore per decidere se accettare la sua idea di farmi diventare direttore sportivo. "Ma io sono un giocatore!", risposi. Però in cuor mio avevo già detto sì. Sono fiero di come posso lavorare alla Lazio».
Lotito viene giudicato più per come appare: un limite da parte di chi?
«Forse, di chi spiega la realtà in modo superficiale. Un altro grande presidente che viene percepito male è De Laurentiis. Entrambi sanno benissimo come si gestisce il calcio. Il bilancio del Napoli è un modello».
Sarebbe un peccato se una Lazio del genere, con un Immobile così, dovesse restare in vacanza forzata.
«Sì, lo sarebbe. E penso anche all’Atalanta, alla sua grandiosa stagione in Italia e in Europa: un esempio per tutti. Comunque, né noi né loro finiremo qui, in ogni caso. Si tratta di progetti costruiti nel tempo, con notevoli margini di miglioramento. Abbiamo svolto un lavoro favoloso, pazzesco, primo fra tutti l’allenatore. Ora bisogna insistere: il calcio è bellissimo ma volubile».
Tempo fa, lei ha vissuto l’esperienza della terapia intensiva. Migliaia di persone lo hanno appena fatto e lo stanno ancora facendo. Cosa significa?
«Vedere quelle immagini in televisione mi ha smosso dentro. Quando è capitato a me è stata durissima, però volevo vivere ad ogni costo. Purtroppo, farcela non è solo una questione di volontà. Posso dire che quella crisi mi ha cambiato la vita, costringendomi a rivedere del tutto la scala dei valori».
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