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Totti: “Ibra? Nessuno può capirlo più di me. Ma io fui messo da parte anche se…”

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Nel corso di un'intervista a La Gazzetta dello Sport, Francesco Totti ha parlato così di Ibrahimovic e dell'ipotesi ritiro dello svedese

Matteo Pifferi

Nel corso di un'intervista a La Gazzetta dello Sport, Francesco Totti ha parlato così di Ibrahimovic e dell'ipotesi ritiro dello svedese.

Francesco te la senti di riavvolgere il nastro?

"Così mi vuoi male... (sorride, ndr). Sono passati 5 anni ma le sensazioni me le ricordo tutte e guardando Ibra nell’ultimo periodo le rivivo. Anche se la mia situazione era un po’ diversa dalla sua. Io non avevo avuto particolari infortuni. Sentivo di poter ancora dare il mio contributo, ma fui messo subito da parte e se giochi tre minuti o cinque o dieci una volta ogni tanto diventa uno stillicidio. L’ultimo mio anno non lo auguro al mio peggior nemico. Fu pesantissimo a livello mentale. Logorante. Perché quando dopo una vita in campo non giochi con continuità, soprattutto a una certa età, il fisico non lo stai facendo riposare, lo stai facendo arrugginire. Quando ti abitui solo a subentrare, piano piano perdi il ritmo partita. E quando poi entri ti accorgi che arrivi secondo sul pallone, che stai perdendo quei centesimi di secondo che fanno la differenza. Perché la testa ti dice ancora perfettamente cosa fare, ma le gambe ci arrivano un attimo dopo. Tu lo sai di essere più bravo degli altri ma se il fisico non “resta in partita” diventa dura. Zlatan in questo momento gioca poco e mi immagino le sue difficoltà anche perché il suo corpo è una macchina impegnativa. Però rispetto a me ha una fortuna...".

Quale?

"Da quel che mi sembra dall’esterno la sua voglia di stare in campo è forte come quella del Milan di averlo ancora a disposizione. Il problema non è il tecnico o la società, sono il numero di minuti di gioco e cosa comportano per lui fisicamente nei giorni successivi, quando devi recuperare e subentrano fastidi che prima non avevi mai avuto. Se uno anche a 40 anni ha un infortunio serio, ma poi recupera e torna a posto è un conto: ma se i fastidi sono continui...".

Quindi a parte l’età in cui vi siete trovati al bivio nessun’altra analogia?

"No, aspetta... Altre analogie ci sono. Io credo di sapere cosa stia provando, le domande che si pone, i dubbi, la voglia che fa a pugni con la realtà del momento. Fammi però prima fare una premessa...".

Prego.

"Ibrahimovic è stato uno dei più grandi centravanti al mondo. Un giocatore magnifico sotto tutti i punti di vista: tecnico, atletico e di personalità. Un leader assoluto, un professionista esemplare con un enorme carisma. Ha segnato la storia del calcio degli ultimi trent’anni. Campioni così vorremmo che non smettessero mai. Perché hanno regalato gioie, emozioni, sono stati l’essenza del calcio. E al calcio hanno dato la loro vita, amandolo più di ogni altra cosa".

Sembra che tu stia parlando allo specchio...

"Per questo ti dico che nessuno può capirlo quanto me... Io da amante del calcio spero che Ibra possa continuare. Che domani mattina i fastidi che lo stanno tenendo fuori così spesso possano sparire. Sarebbe un regalo non solo per lui, ma per tutti noi che seguiamo il calcio. Ibra è stato amatissimo dai suoi tifosi e ha fatto disperare (il termine è più colorito, ndr) quelli avversari. Ma il giorno che dovesse dire basta, il dispiacere sarebbe di tutti. Un po’ come è successo con me".

Cosa gli consigli?

"È una decisione troppo personale. Io spero continui finché ne ha voglia, ma solo se il fisico gli consente di poter essere decisivo come è sempre stato. Ma giocare dieci minuti per poi fermarsi, passare più tempo in infermeria che sul terreno di gioco, essere impiegato col contagocce… Eh, così è pesante. Ibra è stato un leone in campo e fuori. Io che lo stimo tanto gli auguro di non trasmettere mai un senso di tenerezza in chi lo vede in seconda fila in panchina o peggio ancora fare fatica in campo. Io nell’ultimo mio anno, rivedendomi in tv, in panchina, mi facevo tenerezza. Ibra nella carriera ha scelto, anche per caricarsi, di essere divisivo. A lui piace essere anche fischiato, e spero per lui che abbia sempre una parte dello stadio che lo acclama e una che lo maledice, perché lo teme. Senza dover trascinare il finale. Io so che significa vivere una stagione in cui resti a guardare e nel mio caso stavo pure bene fisicamente. Un anno può diventare infinito".

Quanto può far paura il dopo mentre sta per arrivare?

"Tanto, perché hai vissuto per tutta la vita in quel rettangolo verde. Perché chiami per nome anche i fili d’erba del tuo stadio o del tuo centro sportivo. Perché tra il cambiarti per l’allenamento o essere in giacca e cravatta da dirigente in uno spogliatoio passa tutta la differenza del mondo. Però a quel momento bisogna prepararsi. Ibra è un uomo intelligente, brillante, lo vedo anche da come riesce a stare davanti alle telecamere e credo abbia un ottimo senso degli affari".

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