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Zenga: “Pellegrini all’Inter poteva trattarmi diversamente. Con un mental coach…”

L'ex portiere nerazzurro oggi allena il Crotone e ha rilasciato un'intervista particolare a Walter Verltroni

Eva A. Provenzano

In una lunga intervista rilasciata a WalterVeltroni per il Corriere dello Sport, Walter Zenga si è raccontato partendo dalla sua Inter fino ad arrivare al Crotone e senza trascurare aspetti della sua storia personale. Ha cominciato a giocare in oratorio e il suo papà faceva il portiere, quello che lui è diventato a furia di frequentare i campetti di periferia. E’ arrivato nelle giovanili dell’Inter a quasi 10 anni, ma non li aveva ancora compiuti e mentì per firmare: “Mi scoprirono. Mio padre firmò una dichiarazione in cui si assumeva la responsabilità è così finii a giocare contro quelli di tredici o quattordici anni. L’anno dopo andai all’Inter grazie a Italo Galbiati. E’ stato il mio primo allenatore. Fui pagato la bellezza di tre giocatori in cambio, più un milione in materiale (palloni), quindi fu un affare, per la Macallesi”. 

SOLITUDINE E FOLLIA - Da Trapattoni a Vicini in Nazionale, quelli gli allenatori che gli hanno insegnato di più. E tutte le doti del portiere: “Un portiere é essere sempre se stesso, indipendentemente da tutto quello che gli accade intorno. Perché puoi fare una grandissima parata e un secondo dopo ti può passare la palla in mezzo alle gambe, senza neanche che te ne accorgi. Un buon portiere deve anche dare sempre il senso di totale controllo, quasi proprietario, dell’area di rigore. L’area di rigore è mia, è casa mia e per farmi gol devi inventarti qualcosa sennò ragazzo passa alla prossima partita. Non può esistere un portiere senza carattere. E la solitudine? E beh, si fa allenamento col preparatore, a volte fino all’area non arriva nessuno in quindici minuti. E il portiere è anche un folle perché gli piacciono le partite nelle quali fa tante parate, si cerca il pericolo per provare a sventarlo”.

MA IN QUANTI MI HANNO SEGNATO? - Di un portiere spesso si ricordano più i gol incassati che quelli sventati: “ La più bella parata forse è stata quella con la Nazionale che ho fatto contro la Svizzera, a Berna e poi c’è stata quella nella finale di Coppa Uefa con il Salisburgo. In tanti mi dicono ‘che gol ti ho fatto quella volta’? e a nessuno viene in mente di dire ‘che cavolo di parata mi hai fatto’? E così capisci che ti hanno fatto gol in tanti e un po’ te ne vergogni”.

BRUTTI RICORDI - Con l’Inter non ha solo bei ricordi, ma ce n’è anche uno bruttissimo, che non ha ancora digerito: “ Mi ha fatto male quando il presidente Pellegrini non mi comunicò che stava trattando con la Sampdoria l’acquisto di Pagliuca. Lì sì che mi fece male. Perché dopo ventidue anni di Inter meritavo dal signor Pellegrini un atteggiamento differente”. 

LA RINASCITA - E sono stati difficili da digerire anche certi esoneri da allenatore tanto che Zenga si è rivolto ad un mental coach e ha fatto un lavoro su di sé molto importante: “Molto mi ha dato la famiglia, mia moglie, i miei bimbi. Con mia moglie sono quindici anni che siamo insieme, non due mesi. Prima pativo molto la lontananza da loro, noi abbiamo la residenza a Dubai. E poi ci sono persone che si sono prese a cuore il farmi uscire dal tunnel. Questa persona si chiama Roberto Re. E’ un mental coach e con lui ho avuto la possibilità di ragionare, di analizzare, di vedere le cose con una luce nuova. Tutte queste cose mi hanno permesso di rinascere, come l’araba fenice che mi sono tatuata sulla gamba”.

ALTRO CHE SMETTERE - Con il suo Crotone ora pensa una partita per volta e spera di riuscire a centrare la salvezza. Intanto ha un’ultima confessione: “Quando ho smesso di giocare mi sono detto: “Che bello? Adesso vado in vacanza quattro volte all’anno, non faccio più niente, non ho più stress, mi sveglio alle 11”. Dopo quattro giorni ero lì che volevo picchiare la testa nel muro. Per questo sono felice di essere ritornato. Ritornato nuovo. Come uomo di calcio e come uomo”.

(Fonte: Corriere dello Sport, 09-02-2018)