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Mourinho: “Mai una famiglia come l’Inter, che valori! Ma trovo inaccettabile che…”

Il tecnico dell'Inter che ha conquistato il Triplete nel 2010 ha parlato a Sky Sport ricordando 10 anni dopo quella grande impresa

Andrea Della Sala

Sono passati 10 anni esatti da quando l'Inter il 22 maggio del 2010 alzò al cielo la Champions League battendo il Bayern. Nel giorno del ricordo di quella data storica per i colori nerazzurri, il tecnico di quella squadra José Mourinho ha parlato a Sky Sport:

"Grazie ai miei giocatori, senza di loro non sarei qui con voi ora. Ci sono dei momenti indimenticabili nella vita e questo è uno di loro. Il rapporto che ho con i giocatori, con Moratti, con tutti quelli che hanno lavorato con me, è un rapporto incredibile e questa è la cosa più importante. Triplete, Champions, il sogno degli interisti, dei giocatori, il mio... Rimarrà per sempre il nostro rapporto". 

Capolavoro?

"I risultati fanno la storia. Qualche volta si può fare un lavoro fantastico, ma senza risultato non c'è vera storia. Mi sento speciale con questa squadra. Quello che abbiamo fatto va oltre le medaglie, le coppe e la storia, la cosa che mi fa sentire speciale è essere uno dei capi di questa squadra. Siamo una famiglia 10 anni dopo, siamo amici per sempre, questa cosa mi segna profondamente. Ho avuto la fortuna di avere risultati belli, ma questo senso di famiglia per sempre mi fa sentire troppo orgoglioso". 

Sapevate di vincere quella finale?

"Sono d'accordo. A Kiev eravamo fuori dalla Champions all'85', col Chelsea turno difficilissimo, a Barcellona il rosso a Thiago... Ma quando siamo arrivati a Madrid la sensazione era che la coppa era nostra. Il sentimento di tutti era che questa coppa Dio aveva deciso che era nostra. Senza quella appartenenza era difficile fare una stagione storica. Giocatori top, ma prima viene questo senso di famiglia interista. L'Inter di Moratti era una squadra che faceva sentire la gente a casa. Principi morali, empatia hanno fatto diventare questo gruppo speciale. La stagione non era solo la Champions, abbiamo avuto difficoltà durante la stagione. Dopo il pareggio con la Fiorentina eravamo dietro alla Roma, abbiamo avuto giocatori sospesi, ma abbiamo avuto sempre questa forza di un gruppo di amici. Mi sentivo uno di loro".

Zanetti...

"Sai perché rido? Anche con quarantena questo ragazzo ha sempre i capelli a posto. Javier la gente lo guarda e lo sente come il nostro capitano, per me Zanetti era il capitano dei capitani. Avevamo un gruppo di ragazzi, qualcuno non aveva giocato tanto, ma loro erano assolutamente fondamentali in questa squadra. Javier, Cordoba, Marco, Toldo, Orlandoni, un gruppo di giocatori di cuore nerazzurro. Era adesso o mai per loro, era il sogno della loro fine carriera. C'era un gruppo di giocatori sui 25 anni che aveva grande ambizione. Volevamo giocatori per fare questa squadra più forte con più opzioni di gioco. Milito e Motta erano giocatori che arrivavano dal Genoa, avevano ambizione di vincere almeno in Italia. Lucio Van Gaal non lo ha voluto, Guardiola non ha voluto Eto'o e anche il Real non voleva Sneijder. Grazie a Branca e Oriali, hanno fatto un grandissimo lavoro. L'uomo che guidava tutti al sogno era Moratti, non ha mai nascosto questo sogno". 

Fa piacere risentire la sua squadra

"Mi sento oggi con voi e mi sento come un rappresentante dei giocatori, non mi vedo come speciale, mi vedo come un loro rappresentante. In questa squadra l'importanza di Milito che ha fatto 4 gol nei tre titoli, Stankovic... ma il contributo che hanno dato tutti è lo stesso. E così anche Orlandoni, i magazzinieri... tutti. Quello che abbiamo fatto è molto più di una coppa".

Prima volte che non ti senti speciale

"Non ho mai pensato a me, ho sempre pensate alla gioia degli altri, nel significato di quella coppa per Moratti, Zanetti, i giocatori e i tifosi. Mai pensato da egoista. Mi sono sentito speciale per questo. Una sensazione bella. Loro dicono che sono stato importante per loro, che gli ho lasciato un segnale per sempre. Ma loro hanno fatto tanto per me". 

Milito...

"Sono stato con lui a Manchester prima di una mia partita. Sono tanti anni che non ci vediamo, ma quando stiamo insieme sembra che non ci siamo mai lasciati".

L'intervallo di Kiev

"Non parlo tanto dello spogliatoio, ma dopo tanti anni se ne parla. Quella partita all'intervallo ho visto gente triste, ma c'era ancora tanto da giocare. Ho pianto solo una volta dopo una sconfitta, non mi piace questo. Ero veramente arrabbiato, la squadra doveva fare di più. Si può perdere ma devi lasciare tutto in campo e non piangere dopo. Nell'intervallo ho fatto i cambi tattici di cui avevamo bisogno, dovevamo rischiare il pareggio non bastava. Sono entrato nel cuore dei giocatori e la squadra nel secondo tempo è stata fantastica. È stato il momento chiave, se perdiamo siamo fuori". 

Ha ancora la tachicardia per la gara di Barcellona?

"La più bella sconfitta della mia vita. Io dico sempre che abbiamo vinto 3-2, non perso. Era possibile solo con quella mentalità, senza qualità non si fanno tante cose, senza idea di gioco non si va a Barcellona a resistere come abbiamo fatto, ma non si vince nemmeno in casa 3-1 senza un gran lavoro sulla transizione offensiva. Non si vince in 10 senza questo concetto di famiglia. Prima del ritorno, mio figlio aveva 10 anni e mi ha detto: io sono stato nella tua prima finale, ma non mi ricordo, voglio vincere una Champions e voglio ricordarmela, voglio la finale. Prima della partita di Barcellona ho parlato di mio figlio e ho detto ai giocatori di pensare ai loro figli. Dovevano vincere la Champions per loro. Siamo entrati con sentimento di fare un'impresa per tutte le famiglie. Siamo entrati in campo col sentimento di sì o sì. Quando viene espulso Thiago, la gente davanti alla tv ha pensato è fatta, ma noi lo sapevamo. Ed è quello che ho detto a Pep, in panchina loro festeggiavano. Sono andato lì e ho detto: tranquillo che ancora non è finita. I miei giocatori avevano capacità mentale per fare quella lotta. È stata una partita dove hanno vinto gli aspetti umani. Per noi 22 maggio è solo il giorno dove noi abbiamo toccato il cielo, ma la nostra famiglia va molto più lontano". 

Battere Barcellona e van Gaal è un grande segnale...

"Sono rimasto qualche anno a Barcellona, sono andato lì con Robson. Volevo andarmene, ma van Gaal voleva che rimanessi. Con lui ho solo sentimenti positivi, in quella finale lì dentro la gioia, un po' mi ha fatto male salutare quell'uomo importante per la mia carriera che era triste".

Ne parla ancora di suo figlio di quella vittoria?

"Spendi tanto tempo con la famiglia sportiva, se non ti senti felice è molto molto difficile avere successo. Prima delle partite andavamo ad Appiano, io li facevo andare a casa a pranzo per poi tornare in ritiro la sera, ma loro rimanevano lì. Mio figlio è entrato in quella dinamica di famiglia, è stato lì che lui si è innamorato di calcio. Entrava ad Appiano e sentiva quelle emozioni calde. L'altro ieri sono stato al telefono con un ragazzo che era uno degli autisti dell'Inter... Se mi chiedi perché non sei tornato a Milano dopo la finale? Se torno a Milano non esco". 

Julio Cesar...

"Sa che sono uno che non spende tanti soldi, allora vuole offrirla lui la cena...".

Chi potrà diventare un grande allenatore? Cambiasso?

"La cosa più importante è vuole o no? Quando fai una carriera come loro, 20 anni dedicati al calcio, molti hanno delle qualità ma non vogliono più quella vita, quella pressione che hai come allenatore. Tanti di loro non vogliono. Cambiasso facilmente può trasferire come giocava e diventare allenatore. Tutti i giocatori che giocavano davanti alla difesa hanno una visione privilegiata del gioco, Costinha, Xabi Alonso, Cambiasso Matic... hanno tutti questa visione. Cuchu vuole e questo è importante. Si sta preparando per fare una carriera importante". 

"È veramente un peccato che Moratti non possa fare quello che voleva: stare tutti insieme in questa data. Tutti i miei ragazzi sono nella storia del calcio, dell'Inter, dei tifosi, loro sono lì. Quando sono in strada e qualcuno mi ferma per strada, mi dicono grazie".

Hai tenuto il pallone di Madrid?

"Certo che l'ho tenuto. Questo pallone ha giocato, nel primo tempo è andato via dal campo e ne è entrato un altro da un raccattapalle. Uno dei magazzinieri nostri me lo ha recuperato e gli ho detto subito che era mio. Lui mi ha preso il pallone e nell'intervallo mi ha detto che era lì per me". 

Nella corsa che hai fatto col Porto a Manchester pensavi alla tua carriera così lunga e vittoriosa?

"No, una cosa è essere consapevole dei tuoi mezzi un'altra cosa è sapere che lo farai. Ma qualcuno dimentica una corsa simile è stata a Kiev quando Milito segna alla mia destra e io corro nella direzione opposta verso Julio Cesar". 

Dal 2010 l'Inter e Mourinho non hanno più vinto la Champions, chi la rivincerà per primo?

"È difficile da dire, non è facile vincere la Champions. Vediamo... Io sono in una squadra che non ha mai vinto e non ha questa cultura di vittoria, prima di vincere in Europa dobbiamo vincere in Inghilterra. L'Inter solo una Coppa Italia in 10 anni è inaccettabile per un tifoso è dura da accettare. Il modo in cui sta lavorando, gli investimenti... non sarebbe una sorpresa vincesse in Italia e anche in Europa". 

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