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Zanetti dice tutto: “Il cantiere, l’arrivo all’Inter, la 4, Ronaldo, Maldini e Mou…”

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Javier Zanetti, vice presidente dell'Inter, dice tutto a 'Que Mola’. Tra passato, presente e futuro, ecco l’intervista integrale

Alessandro Cosattini

Javier Zanetti, vice presidente dell'Inter, dice tutto a 'Que Mola’. Tra passato, presente e futuro, ecco l’intervista integrale dell’ex capitano nerazzurro:

Un aggettivo per Javier Zanetti oggi?

“Diciamo che oggi sono un manager che ha una visione più ampia rispetto a quando era giocatore".

Zanetti

La tua gioventù argentina, cosa puoi raccontarci?

"Se penso alla mia infanzia ho ricordi bellissimi, legati soprattutto alla mia passione che è il calcio. Fin da bambino correvo dietro al pallone e sognavo con i miei amici di diventare un giorno un professionista. Questo sogno l'ho potuto realizzare. Sinceramente del mio quartiere mi porto dietro tutte le cose belle che mi hanno accompagnato da calciatore e oggi come manager. Sono valori importanti che tengo stretti e porto ovunque".

Mi racconti il potrero, il campetto del quartiere?

"Sarebbe l'oratorio per gli italiani, dove trascorri momenti meravigliosi con gli amici. Sogni, impari a giocare, aiuti amici in difficoltà, litighi, scherzi. Sono momenti che ti fanno crescere veramente".

Come sei arrivato nel settore giovanile dell'Independiente?

"Sono tifoso fin da bambino, ci sono arrivato perché sognavo di indossare quella maglia. Attraverso un torneo del mio quartiere, i dirigenti mi hanno visto e mi hanno preso. Lì ho iniziato la mia carriera in una squadra di professionisti".

L'esordio da professionista è stato però contro il Banfield e la tua prima partita è stata contro il River Plate.

“Lì ho fatto le giovanili sì. In realtà l'esordio è in seconda divisione, dove ho fatto un anno, poi il Banfield mi compra e faccio due anni in prima divisione. L’esordio è contro il River Plate appunto e dopo questi due anni la chiamata inaspettata dell'Inter che mi ha colto di sorpresa, ma è stata la mia grandissima opportunità di arrivare in questo calcio e confrontarmi con grandissimi campioni".

In questo trasferimento nasce il mito della numero 4…

"Sì, è stata la maglia che ho sempre indossato, era libero all’Inter e me lo sono preso stretto perché mi piaceva. L’ho tenuto poi per tutta la carriera. Con questo numero ho trascorso momenti indimenticabili con l'Inter, che per me significa famiglia, amore, è casa mia. Essere legato ancora adesso al club è molto importante per me".

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Ricordi il primo giorno all’Inter?

"Sinceramente non potevo immaginare in quel momento lì che la mia carriera sarebbe stata tutta qui. Sapevo che arrivavo in una grande società, con una storia bellissima e con grandi campioni da diversi paesi. Volevo lasciare la mia impronta, sapevo che era la mia opportunità. Il salto era molto grande, dal Banfield all’Inter, ma sapevo che dovevo dare tutto ciò che avevo dentro e portare la mia essenza sudamericana per far sì che l'Inter apprezzasse le mie qualità".

A proposito di essenza sudamericana, l'Inter ce l'ha nel DNA e lo aveva già a quei tempi.

"Sì, c'è una tradizione sudamericana, molti giocatori hanno fatto bene tra l’altro. Poi, FC Internazionale già dal nome significa aprire le porte a giocatori anche non italiani".

"Primissimo allenamento, facciamo possesso palla. Lui non la perde mai, resta sempre attaccata al piede. Quel giorno pensai che avrebbe fatto la storia dell'Inter". Ricordi chi ha detto queste cose?

"Sì, il capitano di allora, Beppe Bergomi, una persona che mi ha aiutato tantissimo, mi ha fatto integrare subito alla realtà del calcio italiano, mi ha raccontato la storia dell'Inter. Insieme a Giacinto Facchetti sono stati importanti per me nei miei primi passi in questa società".

A proposito dell’anima argentina. Cosa dici di Batistuta e Crespo?

"Due grandi attaccanti, tra i principali della storia del calcio argentino. Batistuta aveva una potenza fisica incredibile, segnava in qualsiasi maniera. Crespo molto intelligente dentro e fuori area, si smarcava benissimo con movimenti che gli permettevano di farsi trovare ed essere sempre lì pronto a far gol".

L’Argentina è campione del Mondo, ti chiedo tre nomi da mettere in cima. I migliori di sempre.

"Messi, Diego Maradona e Kempes, che è stato artefice nel '78 di una cavalcata straordinaria che ci ha fatto vincere il primo Mondiale".

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Il campionato argentino si sta evolvendo, si sta orientando verso un formato europeo.

“Di sicuro è un punto a favore, il calcio argentino può crescere tanto. Bisogna copiare le cose buone e questa è stata una scelta importante per il futuro del calcio argentino".

Tre motivi per cui un ragazzo appassionato di calcio dovrebbe seguire il calcio argentino.

"Perché è molto appassionante, ci sono tanti giovani che possono emergere e che già stanno facendo grandi cose e perché ti fa ricordare il potrero, dove vedi giocatori che si divertono. I giocatori del potrero proprio”.

La Libertadores è come la Champions League?

"Come importanza sì, ma si svolge in maniera diversa. Perché gli stadi sono diversi, perché la gente la vive in maniera diverso. Ma è una coppa molto ambita e ultimamente ha visto il predominio delle squadre brasiliane che stanno investendo tanto. L'Argentina è un po' indietro, però penso che Boca, River e Racing possano essere protagoniste".

Come nasce il tuo soprannome di El Tractor?

"Nasce in Argentina, un telecronista mi ha messo questo soprannome perché diceva che quando partivo palla al piede sembravo un trattore che nessuno fermava. Nacque così il soprannome”.

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Quanto ti ha aiutato allenarti sempre, in una lunga carriera in cui hai cambiato anche ruolo. Hai fatto anche il centrocampista…

"Tantissimo. Gli allenamenti sono la cosa più importante, ho sempre cercato di farlo dando il 100% perché sapevo che così la domenica sarei stato pronto per una grande partita. Anche oggi gli allenamenti mi fanno sentire bene e quando giocavo li ritenevo la cosa più importante".

Un tuo gol in Nazionale ha salvato la vita a Marek Kopals.

"Accadde nel Mondiale '98, giocavamo contro l'Inghilterra. Sono venuto a sapere dopo che stava vedendo la partita, grazie al mio gol siamo andati ai supplementari e poi ai rigori. Se lui fosse uscito dopo 90 minuti, sarebbe esploso con la sua auto dove c'era una bomba. Diciamo che la mia rete lo ha fatto rimanere a casa e non lo ha portato su quella auto".

Inconsapevolmente hai sventato un attentato. Una magia davvero…

"Sì, non si può spiegare. Poi mi ha scritto una lettera piena di emozioni, ringraziandomi. Quando ti raccontano queste cose capisci fino a dove arriva la passione per il calcio. La sua passione lo ha fatto rimanere di più a casa, oltre i 90 minuti. Non lo fosse stato non sarebbe rimasto oltre”.

Parliamo di Ronaldo.

"Per me è stato uno dei più forti con cui ho avuto la possibilità e l'onore di giocare. Un giocatore straordinario in tutti i sensi. Arriva dal Barcellona nel suo periodo migliore, con noi è stato devastante. In allenamento era difficile fermarlo e in partita anche".

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Angelillo è stato importante per portarti all’Inter…

"Mi ha visto e mi ha identificato come un giocatore da Inter, lo ringrazierò sempre. Grazie a lui, Mazzola e Suarez che mi hanno visto, io sono arrivato in questa grande società. Angelillo è una leggenda, capitano, che ha lasciato il suo grande segno nell'Inter".

Cosa significa questa tua foto in cantiere?

"Mio padre faceva il muratore, durante un anno l'ho aiutato ed è stato uno dei momenti più belli della mia vita. Lì ho capito tantissime cose, quanto mio padre e mia madre si sacrificassero per non far mancare nulla a me e mio fratello maggiore. Ho iniziato a capire i veri valori della vita, quelli fondamentali per l'essere umano".

È vero che fisicamente rischiavi di non rientrare nelle selezioni dei professionisti?

"Ero molto gracile, per questo l'Independiente mi lascia libero dicendo che non ero pronto per giocare a calcio in quel momento. Io accettai la loro decisione, però non nascondo che da tifoso è stata una mazzata quella per me. Io sognavo di esordire per loro. Però doveva andare diversamente e poi quando ci siamo affrontati con il Banfield i dirigenti dell'Independiente erano con le mani nei capelli. Fa parte delle cose che possono capitare nel calcio".

Parliamo dell'asado.

"Fa parte della nostra cultura, fa gruppo. All'Inter ci divertivamo con quel gruppo, non a caso abbiamo vinto tutto".

Parliamo di Mourinho.

"José per me sarà importante nella mia carriera, un rapporto che va oltre quello professionale. C'è un rapporto umano molto forte che dura nel tempo, ci sentiamo spesso, ci messaggiamo. Per quel gruppo è stato un grandissimo condottiero".

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Nell'inno Pazza Inter l'inizio è con la telecronaca di un tuo gol. Caso unico.

“Un momento di divertimento, quella canzone tutti insieme. Ringrazio Scarpini per la telecronaca molto emotiva, è stato deciso di iniziare così l'inno".

In Argentina siete maestri nelle telecronache…

"Sì, perché ti fanno vivere grandissime emozioni, che ti arrivano guardando o ascoltando le partite".

Parliamo di Maldini.

"Con Paolo c'è stato sempre un grandissimo rapporto e al di là della rivalità un grandissimo rispetto che dura ancora oggi e che durerà. Rappresenta uno dei giocatori che rispettano tutti tutti nel mondo del calcio per il suo modo di interpretare il gioco".

Siete due capitani molto rappresentativi per il derby di Milano.

"Ci siamo affrontati tante volte, Paolo è stato un avversario molto leale e l'ho sempre apprezzato per questo".

Un consiglio per i giovani calciatori, per quelli che subito non hanno grande talento o per chi già ne ha.

"Il consiglio è molto semplice, in entrambi i casi: non smettere mai di sognare. I sogni possono diventare realtà, ma per compierli servono tanto lavoro, sacrificio e resilienza perché ci saranno momenti di difficoltà da affrontare. Una volta fatto, si esce ancora più forti da questi momenti”.

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