Ivan Ramiro Cordoba è stato intervistato da La Gazzetta dello Sport in una diretta su Instagram. E ha raccontato un po' della sua storia nerazzurra: «Ci dividiamo i compiti in casa, in questo momento, come fanno in tanti. E il piccolo di quattro anni tiene tutti occupati».
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Cordoba: “Conte, difficile da accettare all’inizio. Ma l’Inter lavora con determinazione”
L'ex difensore nerazzurro ha parlato in diretta su Instagram con La Gazzetta dello Sport
-Difesa a tre?
Cambia tanto giocare a tre o a quattro, i movimenti e gli spostamenti sono diversi, i compiti sono diversi, cambia soprattutto per i due esterni. I centrali hanno un compito preciso, diverso rispetto ai laterali che hanno compiti simili. Loro possono salire tanto con il pallone e proporre tanto gioco, ma a volte diventano anche solo due centrali se la giocata è in un'altra parte del campo".
E' una situazione anomala in tutti i sensi. Per me non esiste anche se lo Sport fa sempre bene a tutti. Per me quando riparte il mondo e l'Italia, e anche la Colombia, la cosa più importante sarà aiutare chi è in difficoltà. Le squadre possono allenarsi ma bisogna concentrarsi su questo. Non avrebbe senso continuare un campionato che non ti dà il senso di essere un campionato normale. Questo ci dovrebbe far pensare a tutti quanti, lo Sport deve continuare però non deve essere un obiettivo finire il campionato. La Copa America è stata rinviata, l'Europeo pure, le qualificazioni Mondiali anche. Se ci assicurano che dopo un certo periodo si torna alla normalità e non rischiamo di andare di nuovo in crisi va bene, ma chi ci può assicurare questo? E' difficile. Dobbiamo tenere duro fino a che possiamo ed è l'unico modo.
-Prima di venire all'Inter eri vicino alla Juve?
La prima squadra che si è interessata è stata l'Udinese, un anno prima di arrivare all'Inter e il San Lorenzo ha detto no. Quando ho incontrato Braida mi ha detto che mi aveva cercato anche il Milan prima del club nerazzurro. Ma a me non è arrivata nessuna richiesta da parte loro. Il Real Madrid mi aveva cercato, lo sanno tutto. Prima e dopo che ero arrivato all'Inter, quando era arrivato Cambiasso a Milano. Avevo appena fatto un accordo con Moratti e sono rimasto.
-Come giudichi la stagione dell'Inter fino a questo momento?
"Molto bene perché hanno lavorato con determinazione. Si sono avvicinati alla vetta della classifica, vuol direche significa tutti sono convinti degli obiettivi da raggiungere e che stanno lavorando bene. Ci vuole del tempo, ma la mentalità è quella: chi arriva all'Inter, sempre detto, deve sapere che bisogna vincere non solo qualificarsi in CL. Questo l'Inter lo ha dimostrato prima che si fermasse il campionato, al di là delle ultime partite. Credo sia il modo giusto di affrontare il campionato con la maglia dell'Inter.
-Cosa pensi dell'arrivo di Conte?
Prima che arrivasse, sinceramente, la pensavo come tutti i tifosi dell'Inter, per noi era qualcosa da accettare inizialmente. E' come pensare che una bandiera dell'Inter vada alla Juventus. Lavoro, risultati, il modo di gestire la squadra, difendere questi colori, stanno dando la fiducia che pensavamo di trovare con un allenatore così. Lui è forte lo ha dimostrato e all'Inter serviva un allenatore vincente. E giocatori così, con mentalità vincente, che aiutano gli altri a vincere.
-Cuper?
Ha gettato le basi di un'Inter vincente, è tutto nato da lui. Ha dato una organizzazione mirata a dare il massimo, è stata una bellissima esperienza al di là di tutto quello che è successo in quasi tre anni. Ho bei ricordi del mister, per cui nutro tanto rispetto nei suoi confronti come allenatore e come persona.
-I gol?
In assoluto quello che ho segnato nella finale di Copa America. All'Inter però ricordo il primo, quello segnato al Lecce in Coppa Italia. Per un difensore fare gol è qualcosa di sublime. Dovremmo evitarli noi i gol, ma se segniamo dici caspita. Quel gol me lo ricordo tanto. Il più bello che ho fatto? Inter-Napoli con Mou a San Siro? Avevo il ginocchio infortunato: non so neanche come ho fatto a segnarlo. Poi anche quello con il Newcastle in CL".
-Qual è il tuo sogno guardando avanti?
Caspita, bella domanda. A livello sportivo o personale? Spero di riuscire a fare qualcosa di speciale anche in futuro, non so quando, vorrei lavorare con la mia Nazionale, con la federazione colombiana. Ma io punto al massimo, mi piacerebbe diventare presidente della Federazione colombiana perché penso che si possano fare tante cose per bene. Non voglio fare polemica. Da troppo tempo c'è stata la stessa guida, c'è bisogno di rinnovare le idee. Il calcio cambia costantemente e bisogna alzare il livello. In tutte le parti del mondo cercano di rinnovare per essere al top, noi siamo rimasti sulle stesse idee e così è difficile puntare ad essere protagonisti.
-Ci parli di Samuel Eto'o?
"Che dire di Samuel, lo avete visto tutti (ride ndr). Posso dire qualcosa a livello umano, che non si sa: lui cerca sempre di dare consigli, ai giovani. Era una specie di allenatore, spiegava come muoversi. Lo faceva perché cercava di far guardare in avanti quei giovani. In campo ti trasmetteva la fiducia di essere già partito con un vantaggio".
-Perché non sei mai andato al Milan?
No, no... Perché no. Non esiste (ride.ndr).
-La partita della svolta nella Champions 2010 è quella con il Chelsea o quella con la Dinamo?
Sono due situazioni diverse. Con la Dinamo è stata una sofferenza fino al gol della qualificazione, ci ha dato una carica enorme, a tutti, e la consapevolezza di giocarcela, di avere una possibilità grande. Il Chelsea è stata la conferma tattica che ha permesso di giocare all'Inter in maniera devastante. Il mister ha trovato la quadra giusta per riuscirci, ci è riuscito.
-Un tuo parere su Murillo, cosa non ha funzionato all'Inter?
Mi è spiaciuto tantissimo perché ci aveva fatto vedere che poteva stare a lungo all'Inter, per le sue caratteristiche e la sua condizione. Poi è forse arrivato in uno dei periodi difficili in cui si faticava ad avere continuità ed è stato così per tanti giocatori. Lui ha capacità che ci stavano per giocare nell'Inter. Poi diventa difficile da capire tutta la situazione.
-L'allenatore che ti ha dato di più tecnicamente e a livello umano?
Io sono molto legato al mio formatore. Se non fosse stato per lui e per i miei genitori, non avrei avuto la mentalità da testone che mi ha permesso di giocare da centrale, anche se mi dicevano che non potevo farlo perché ero basso e se mi dicevano che non potevo superare certi limiti. E così ho imparato a prendere tutto come una possibilità fosse l'ultima. Diventando professionista, a certi livelli, c'è già più una questione di mentalità e non c'entra la tattica. All'Inter ne ho avuti tanti, non voglio nominare uno piuttosto che un altro, mi darebbe dispiacere: penso che ognuno di loro abbia cercato di fare il massimo per la squadra. E' indiscutibile che il periodo cominciato con Mancini e poi finito con Mourinho nel modo in cui è stato finito, è stato fantastico. Questi due allenatori mi hanno dato tantissimo in quei sei anni insieme".
-La maglia che conservi più gelosamente?
La numero 2 della Colombia dopo la morte di Escobar me la tengo stretta, l'hanno data a me quando sono arrivato in Nazionale e me la tengo stretta. Poi quella della finale della Copa America. Anche la due dell'Inter perché quando sono arrivato avevo la 21. Panucci un mese prima di andare via mi ha detto di andare ai magazzinieri di darti la due. E' stato uno sprint prendere quella maglia. Un giorno un magazziniere del Milan mi ha dato la maglia di Escobar della finale della Coppa Intercontinentale del 1990, mi disse che la meritavo io. Io l'ho presa, ho chiamato i genitori di Escobar dicendo loro che era giusto la tenessero loro. Ma mi hanno detto: 'No, Ivan, noi siamo tranquilli se ce l'hai tu. Pensiamo che tu sia la persona giusta a tenerla e anche quella maglia per me è un tesoro. E poi tutte le maglie delle finali.
-La famosa partita Atalanta-Inter 1-3 e il confronto con Mourinho?
Abbiamo perso un tempo e abbiamo vinto l'altro. Ci fu un confronto, giusto. Cominciavamo a conoscere Mourinho, erano momenti un po' tesi. Ci siamo detti le cose in faccia, da lì è nato un rapporto positivo per la squadra e totalmente diverso. Tutte queste cose che succedono in uno spogliatoio e che non si devono sapere fanno diventare la squadra più forte. Mourinho mi ha indicato dicendomi che le vittorie erano stato merito di quella discussione e lui mi ha fatto capire che aveva capito cosa volevo dirgli sull'Inter e sulla storia nerazzurra. All'inizio non capiva ma poi è un signore e lo ha riconosciuto e ha detto di aver capito cosa volevo dirgli.
-Quanto è stato emozionante alzare la Coppa Italia del 2005 da capitano?
Ricordo che noi festeggiammo come se fosse stata una Champions League. Abbiamo fatto tante feste nello spogliatoio, abbiamo bagnato tutti. Ricordo che Moratti disse in un'intervista dopo la partita: 'Bello vedere tutta questa gioia dei ragazzi che hanno raggiunto obiettivo, ma è un po' esagerata". Ci siamo tolti un grande peso, da lì in poi diventammo consapevoli della nostra forza e poi è arrivata la Supercoppa.
-Adriano al top della forma valeva Ronaldo?
Sono due giocatori diversi per caratteristiche, ma per me Ronaldo, anche Adriano lo sa e io lo stimo tanto, era un fratello per me - era il migliore di tutti e giocava a un livello altissimo.
(Fonte: GdS)
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