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Suarez: “Vi racconto il mio arrivo a Milano e la Grande Inter. Ritiro? Fraizzoli mi disse…”

Suarez: “Vi racconto il mio arrivo a Milano e la Grande Inter. Ritiro? Fraizzoli mi disse…”

Le parole del doppio ex di Inter e Barcellona

Marco Astori

Nel corso di una lunga intervista concessa ai microfoni di AS, il doppio ex di Inter e Barcellona Luisito Suarez ha parlato della sua avventura in nerazzurro, ma non solo.

Cos'è per te l'Inter?

Quando arrivai, l'Inter era una squadra molto normale. Venivo dal Barcellona, che era già una squadra di livello. Era una sfida, non sapevo cosa sarebbe successo. Avevo le mie paure, ma in poco tempo siamo diventati una delle migliori squadre d'Europa. Aver lavorato in qualcosa così è stato molto importante per me. Non feci tutto io, ma con il mio arrivo il club ha cominciato a salire. Specialmente con la prima Coppa dei Campioni con il Real Madrid, che ne aveva vinte cinque consecutive. Quella vittoria ci diede la spinta definitiva.

Cosa ricordi del tuo primo giorno a Milano?

Quattro giorni dopo essermi presentato, l'Inter giocò a Catania l'ultima partita di campionato e il direttore generale mi invitò. Herrera mi aveva fatto una testa così perché firmassi. Mi disse: "Con te e con qualcun altro nessuno ci batterà". Il Catania ne fece tre, era un giorno caldissimo. Dissi al dg: "Sono questi quelli che vinceranno tutto con me? Torno al Barcellona! (Ride, ndr)".

 

E poi ci fu la Grande Inter.

Tutti conoscevano quella squadra. Non importava fossi dell'Inter, del Milan o della Juve. Vincemmo due scudetti e due Coppe dei Campioni consecutive, e nel terzo anno arrivammo in finale a Lisbona ma Jair si infortunò e perdemmo con il Celtic. E poi perdemmo quattro giorni dopo a Mantova. Ci bastava pareggiare per vincere lo Scudetto, ma l'arbitraggio fu disastroso. Avremmo vinto tutto tre anni di fila.

Che ricordi hai di Angelo Moratti?

Famiglia. Sembravamo tutti figli, nipoti, parenti. L'atmosfera era familiare e questo ci aiutò molto. Non c'era invidia o altro. Era una persona passionale e generosa. Se gli davi qualcosa, te lo ridava indietro. Quando vincemmo la prima Coppa dei Campioni con il Real Madrid, lui la tenne e c'è una foto sua. Dico sempre di non aver mai visto una faccia più felice sul volto di una persona.

Cosa ti rende più felice di quello che ti dicono per strada?

Mi sento amato, ammirato e rispettato. Quando vedi i nonni con i nipoti di sei anni dicono loro: "Quello è il grande Suarez, ha vinto questo, questo e quello". E il nipote dice: "Ma chi sarà questo vecchio?".

 

Come è stato il tuo ritiro?

Avevo 35 anni e Corso 29. Arrivammo terzi, il presidente Fraizzoli mi chiamò e mi disse: "Heriberto Herrera mi ha detto che l'anno prossimo giocherà uno tra te e Corso: non entrambi". Ero sorpreso e gli dissi: "Meno male che è arrivato perché in sei, sette anni abbiamo vinto tutto. Se vuole dividere, divida". Ma resi tutto facile e gli dissi: "Se ascolti l'allenatore, è normale che io vada, ho 35 anni: Corso è nel pieno della carriera". E andai alla Sampdoria, un altro mondo.

 

Andiamo all'attualità. Questo Barcellona ti emoziona?

Quest'anno no. Non è che non mi piaccia, ma non mi emoziona come prima. Ti dico una cosa. Quest'anno le partite migliori il Barcellona le ha giocate senza Messi: Inter e Real Madrid. La squadra si diverte di più, lavora di più e gioca serena. Hanno commesso meno errori rispetto al solito.

Arthur è paragonabile a Xavi?

No, l'ho già detto. Ha fatto un paio di buone partite, ma dobbiamo aspettare. Contro Inter e Real l'ho visto migliorare, ma aspettiamo. Posso sbagliarmi, ma non mi sembra un grande. Lo fosse, sarei il primo a scusarmi.

E Coutinho?

Ha più qualità. Viene dal Liverpool, dove era il top player. Quando arrivi in una squadra dove ci sono tanti top, non è facile: ma ha qualità e gol.

Ricorda te?

Io ero più centrocampista. Iniesta mi assomigliava, ma aveva meno gol, ma ho sempre detto che era Pirlo quello che mi ricordava di più. Giocava corto e lungo.

Con chi ti capivi al meglio?

Erano due: Jair e Mazzola. Erano come leoni sui palloni nello spazio. Mi capivano con lo sguardo. Con Jair, che era due passi avanti a me, sapevo sempre di dovergli mettere la palla nello spazio".

Chi tifi in Barcellona-Inter?

Non saprei... L'Inter, ne ha più bisogno.

 

 

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