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Zanetti: “L’Inter di Mou non mollava mai. Sono stato un capitano silenzioso e da dirigente…”

Il vicepresidente dell'Inter ha rilasciato un'intervista alla rivista Millionaire nella quale parla della sua esperienza di calciatore e di quella da dirigente

Eva A. Provenzano

"Mi chiamano ancora tutti il capitano, mai vicepresidente". E' uno slogan, è la verità. Javier Zanetti sarà il capitano dell'Inter per sempre, il capitano di una generazione intera di interisti. Anche adesso che è il vicepresidente del club: dal campo agli uffici della sede di Corso Vittorio Emanuele. Un salto particolare al quale si è preparato con la dedizione di sempre, iscrivendosi persino all'università. Pupi ha scritto un altro libro sulla sua carriera, ma questa volta è dedicato molto di più alla sua seconda vita, si chiama "Vincere, ma non solo". E nella settimana di Juventus-Inter è la frase dell'eterna opposizione. Javier ha rilasciato un'intervista a Millionaire che gli ha dedicato la copertina del mese di dicembre ed ecco cosa ha detto: «Come è iniziato tutto? All'Independiente, ed era la squadra del mio cuore, mi dissero che ero troppo gracile per giocare da professionista ed è stata una grande delusione, ma mi è servito per capire tante cose». Gli sarà servito a capire quanto si sbagliavano perché quel ragazzo che sembrava così fragile è diventato il capitano di un'armata nerazzurra che è arrivata a vincere tutto. «A 13 anni ho fatto un provino senza pensare al passato, ho pensato che fosse un'opportunità e l'allenatore che aveva visto un certo atteggiamento mi ha dato fiducia e le cose sono cambiate».

E POI ARRIVA L'INTER - Fino al destino nerazzurro che lo aspetta puntuale nel 1995 quando arriva all'Inter, Massimo Moratti lo prende insieme a Rambert e il fenomeno doveva essere lui. «Non è stato facile per me arrivare in Italia, ma ho sviluppato un talento, quello dell'adattamento, mi sono adattato alla lingua, al Paese e al calcio. Mi sono sempre allenato come se dovessi giocare, mi sono allenato tutti i giorni, persino il giorno del mio matrimonio. Ma era un allenamento programmato, non sono pazzo e mia moglie lo ha accettato. Allenarsi è la chiave del successo in ogni ambito».

CAPITANO SILENZIOSO - Lo sanno bene i suoi polpacci, invidiati ed ammirati ancora adesso anche se le sue doti più importanti sono state anche altre: «Sono stato un capitano silenzioso, meno parole e più fatti e i miei compagni hanno visto in me un esempio. Ci sono tanti modi di essere un leader ma io ho scelto questo. E ci vuole una mentalità vincente, quello è fondamentale. Ci vogliono poi coraggio, resilienza e determinazione. Le sconfitte? Fanno parte della vita e del calcio ma ti insegnano ad essere più forte e trovi il modo di reagire. Le performance durano a lungo quando si lavora tanto, bisogna sempre migliorarsi. Per restare ad alti livelli serve questo tipo di approccio e di responsabilità». 

I SOGNI SON DESIDERI - «Come si sopportano le pressioni? Nelle grandi partite lo stress si sente molto, ma bisogna mantenere un equilibrio in tutto quello che si fa. Di natura sono positivo e questo è importante: nel calcio la forza mentale è essenziale. E poi io credo nella vita. I consigli per un dirigente? Sono importanti i valori di chi compone la squadra. Creare senso di appartenenza è fondamentale, quindi serve un leader che abbia grande personalità e credibilità. E conta anche il talento, tutti ne abbiamo uno e serve tenacia, determinazione, bisogna aspettare il momento giusto e quando arriva quel talento bisogna metterlo a disposizione. Quando ero bambino sognavo di essere un calciatore e ci ho creduto tantissimo, così è diventato realtà», ha aggiunto Javi. 

MOURINHO - «Ha una grandissima personalità, è bravissimo a motivare, ha intelligenza e conoscenza. E' riuscito a convincere la squadra che poteva arrivare dove è arrivata. La sua Inter non mollava mai, ci credevamo sempre e ci aiutavamo l'un l'altro. Quando serve uno sforzo in più e qualcosa di diverso, è necessario che il gruppo sia pronto», ha spiegato il vicepresidente sull'ex allenatore dell'Inter.

PUPI - Infine qualche parola spesa anche per la Fondazione che da 17 anni lavora per i bimbi meno fortunati d'Argentina. E' l'orgoglio di Javier e di sua moglie, Paula: «E' nata nel 2001, parlando con Ronaldo, mio compagno di squadra, lui aveva un'attività simile in Brasile. Pupi è il mio soprannome ma è anche l'acronimo di "Por un Piberio integrado", che significa per un'infanzia integrata. Ci impegniamo per i bambini che devono cominciare dal fondo. E il progetto Mamamor aiuta le mamme fino ai primi tre anni di vita dei loro bimbi. E c'è Costruire un noi, un progetto che coinvolge tutta la famiglia: partiamo dall'insegnare un lavoro ai giovani così che possano costruire il loro futuro», ha concluso.

(Fonte: Millionaire)

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