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Zazzaroni chiede scusa a Mihajlovic: “Mi pento, non lo rifarei. Ma un pensiero mi accompagna”

Ivan Zazzaroni torna sulla sua decisione di svelare all'opinione pubblica la malattia di Sinisa Mihajlovic prima della conferenza

Redazione1908

"Avevo chiesto riservatezza ma qualcuno non ha rispettato questa mia volontà. E mi dispiace che abbia rovinato 20 anni di amicizia per vendere 100-200 copie in più. Ma ognuno fa quello che vuole". Sinisa Mihajlovic, prima di annunciare la sua malattia, ha lanciato una frecciata a Ivan Zazzaroni, direttore del Corriere dello Sport, che ieri aveva anticipato in prima pagina lo stop del tecnico serbo.

Oggi la risposta di Zazzaroni, proprio sul Corriere dello Sport: "Non mi sono perso una sola parola della conferenza stampa di Sinisa, provando a misurare ogni sua frase, ogni espressione dello sguardo, i gesti, le battute, come ipnotizzato dai suoi occhi. Lucidi. «Ma non è paura», ci ha rassicurati. Mi ha raggelato, il giorno prima avevo urlato in redazione tutta la mia rabbia quando intorno alle 17 mi avevano raccontato che l’amico di vent’anni era malato di leucemia e che molti sapevano.

Deve sempre prevalere l’angoscia di chi soffre, e allora mi pento per la prima volta di aver fatto il giornalista e non l’amico di vent’anni, l’amico che per l’intero pomeriggio di venerdì aveva dovuto rispondere a decine di altri amici e tifosi, e che aveva cercato più volte al telefono l’amico di vent’anni, e poi Arianna, la moglie, e Sabatini, e Mancini, e il dottor Nanni, l’unico in grado di fornirmi delle certezze e qualche rassicurazione. «Fattelo dire da lui», il consiglio di Sabatini. Ma lui, Sinisa, non ha risposto.

“Perché ha lasciato il ritiro?” “Ma è vero che ha fatto degli accertamenti clinici?” “Che cos’ha?” “È grave?” “Tornerà ad allenare?” “Sai qualcosa?” Una domanda dietro l’altra, un tormento, chiamate, messaggi.

La scelta.

Sì, ho fatto il giornalista e non l’amico che avrebbe dovuto attendere un’altra mezza giornata per lasciare che fosse lo stesso Sinisa a raccontare. Dopo aver ascoltato le sue parole e aver visto il suo volto, riconosciuto il coraggio di sempre, ho capito che mi sarei dovuto scusare pubblicamente con lui: avrei dovuto fare l’amico, “Sini”, come nei vent’anni precedenti, non il giornalista che peraltro ha raccomandato a suoi di non scrivere una riga sull’entità della malattia. L’ultima verità. Quella parola che fa paura. Dovevo fare una scelta, di fronte al tuo pianto, al tuo dolore, so di aver fatto quella sbagliata.

Una riflessione mi accompagna da ieri: si discute - inutilmente, spesso è esercizio d’ipocrisia - di notizie false, fake news, e si arriva a scandalizzarsi per notizie vere. La privacy? Forse solo i social hanno il diritto di ignorarla, visto che gli interessati se ne servono per confessarsi pubblicamente? Se uno non segue Facebook o Instagram o Twitter e legge semplicemente un giornale, deve non sapere?

Non pensavo ieri e non penso oggi di aver arrecato un danno a Sinisa: ho solo sfogato il dolore per una notizia che non avrei mai voluto ricevere aggiungendo un affettuoso incoraggiamento.

Gli ho inviato un messaggio, il contenuto non lo rivelo: conta solo che si riprenda bene e in fretta, tutto il resto riguarda la mia coscienza.

Meglio un rimorso confessato che una macchia nel cuore.

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