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Buongiorno: “Sono un leader. Il mio miglioramento è stato costante. Attaccanti? Mi piace…”

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In una lunga intervista a Repubblica, il difensore del Torino si racconta partendo dai suoi primi passi con la maglia granata
Gianni Pampinella Redattore 

In una lunga intervista a Repubblica, Alessandro Buongiorno racconta i suoi primi passi nel mondo del calcio. Naturalmente il focus è sul derby della Mole. "Per fortuna ne ho vinti tanti nel settore giovanile. Con le dovute proporzioni, differenze a livello di emozioni non ce ne sono. Nella settimana del derby ero pieno di carica già da piccolino. E quando si vinceva, era festa".

Si diverte a sfidare i centravanti che menano?

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«Guardatemi: ho graffi e lividi dappertutto, un labbro rotto... Sono contento se ci si prende un po’ a botte, mi piacciono le sfide con quelli che le danno e le prendono, specie se sono grandi e grossi, tipo Djuric o Lukaku».


Con Vlahovic com’è messo?

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«L’ho marcato una volta sola, quand’era alla Fiorentina».

 

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È uno che la trascina nella lotta?

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«Se non lo fa lui, lo trascino io».

 

Questo derby arriva nel periodo della sua maturità?

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«Sì, mi coglie maturo. Il mio miglioramento è stato costante, ho messo assieme le conoscenze diverse che ho appreso e non solo negli ultimi anni, ma anche quando ero piccolo o giocavo in B. Qualcuno mi ha insegnato di più a livello tecnico, qualcun altro a livello mentale o di comprensione del gioco. Sono convinto di poter migliorare ancora».

 

È vero che in pochi le avevano pronosticato questa carriera?

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«È vero. Ci sono due salti di qualità, nella mia crescita: il primo è stato quando sono rientrato al Toro dalprestito al Trapani, l’allenatore era Giampaolo ed ero un esubero. Fin lì mi ero mosso in prima squadra con timidezza, senza tirare fuori la mia personalità, ma quell’estate mi dissi: giocatela, fai la cosa che ti piace e cerca di non avere rimorsi, cavolo. Capii che se avessi parlato in campo, se mi fossi fatto notare, se avessi cercato la giocata più difficile, se avessi tenuto la mente libera ce l’avrei fatta. Il secondo scatto è stato l’anno scorso: anche grazie a Juric, è venuta fuori la mia attitudine a essere leader».

 

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Lei si sente leader?

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«Sì. Sento l’attitudine a poterlo essere. E sono convinto di doverlo essere con i comportamenti, prima che con le parole. È più importante dimostrare che dire».

 

La Nazionale è stata il suo terzo salto di qualità?

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«Eh sì. L’azzurro ti dà visibilità, la possibilità di confrontarsi con avversari di alto livello e di imparare da compagni con cui di solito non ti alleni. Il calcio di Juric è diverso da quello di Spalletti ma non mi riesce difficile passare da uno all’altro: sono entrambi molto chiari nello spiegare cosa vogliono. L’idea di poter partecipare all’Europeo mi emoziona».

 

(Repubblica)

 

 

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