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Deschamps: “In squadra non possono esserci 11 architetti, servono anche i muratori”

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Lunga intervista concessa da Didier Deschamps a La Stampa. Ecco le parole del CT della Francia, in vista degli impegni di Nations League

Matteo Pifferi

Lunga intervista concessa da Didier Deschamps a La Stampa. Ecco le parole del CT della Francia, in vista degli impegni di Nations League:

Deschamps, quante volte ha rivisto la partita con la Svizzera persa ai rigori dopo che all’82’ vincevate 3-1?

«Pochissime. Mi sono già preso ogni colpa, ma la verità è che se avessimo fatto anche tutto diversamente sarebbe andata a finire comunque così. È il mistero del calcio. Inutile cercare giustificazioni, diventano subito scuse. Inutili».

È la delusione più grande della sua carriera?

«Eravamo, cioè siamo ancora campioni del mondo, e da noi si aspettavano tanto. Gestire la vittoria mondiale non è stato facile, pensavo di andare più lontano. Quindi, sì, la delusione è enorme. Se la gioca con la sconfitta in finale in casa con il Portogallo a Euro2016».

Che medicina è la Nations League?

«Non lenisce la delusione, ma per arrivare in semifinale abbiamo vinto in Portogallo. Quindi non minimizziamola, poi mettetela pure dove volete nelle bacheche».

Ci siamo: Torino. Basta la parola?

«Torno a casa. Ho passato sei anni bellissimi, dove ho trovato tutte quello che volevo. L’organizzazione, la cultura della vittoria, ogni uomo al proprio posto dal magazziniere al presidente ma anche uno spirito che ci faceva sentire una famiglia. Un sentimento del benessere della vita quotidiana unito alla ricerca del risultato. Era un momento felice, dove abbiamo vinto tanto con Lippi e il trio Moggi, Giraudo e Bettega. Forse ho sbagliato ad andarmene così presto».

Le manca l’Italia?

«Una parte di me sarà sempre italiana, la mia vita è stata segnata dal passaggio da voi. Non faccio le stesse cose di 20 anni fa, mi sono adattato ai tempi, ma quell’esperienza ha inciso molto».

Sorpreso dal ritorno di Allegri alla Juventus?

«No, non mi sorprende più niente. E poi mi dà fastidio quando gli allenatori di club parlano della nazionale senza conoscere la situazione, quindi vale anche il contrario».

Mbappé ha detto che avrebbe voluto andare a Madrid questa estate e che invece è stato “costretto” a restare a Parigi. Gli farebbe bene lasciare il Psg?

«Sono scelte importanti che l’anno prossimo potrà fare da solo. Lui continua a crescere, anche nelle difficoltà. Ha 50 presenze in Nazionale e solo 22 anni, un’esperienza allucinante. Fa parte di un’elite che non ha bisogno degli altri per far vincere la squadra eppure sa di dover dipendere dai compagni. Ma da lui si aspettano sempre di più, non è mai abbastanza quello che fa. È un mondo a parte il suo».

Le succederà Zidane?

«Sappiamo l’immagine che ha Zizou.  Ma ci sono tanti altri bravi allenatori per i quali la Nazionale, se non un obiettivo, è un’opportunità».

A proposito di Mondiale: che cosa ne pensa del progetto Fifa di giocarlo ogni due anni?

«Non è il ct della Francia che decide, ma per me significa banalizzare l’importanza del torneo. Passeranno sopra gli interessi dei giocatori? Ognuno fa i propri e non coincidono mai. Ma la mia volontà conta poco, deciderà la maggioranza».

Quanto è cambiato il calcio italiano?

«Dovevate farlo, siete passati attraverso uno tsunami. Ma resta sempre fondamentale la cura difensiva. Avete meritato di vincere l’Europeo, chi ci riesce è sempre il più forte. L’ho scritto anche a Mancini».

Attaccare è divertimento, difendere è sacrificio: è vero?

«Definizione riduttiva. A tutti piace attaccare, ma in una squadra non ci possono essere 11 architetti. Servono anche i muratori. La mia parte italiana viene sempre fuori: costruire una squadra per creare problemi all’avversario».