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Ippolito, direttore scientifico Spallanzani: “Coronavirus non è mortale. Isolare, ecco perché”

Il direttore scientifico dell'ospedale di Roma ha prova a tranquillizzare gli italiani in ansia per l'emergenza Coronavirus

Andrea Della Sala

Intervistato da La Gazzetta dello Sport, il professor Giuseppe Ippolito direttore scientifico dell'ospedale Spallanzani di Roma ha rassicurato gli italiani: «il coronavirus non è una malattia mortale e si può guarire».

Sulla gravità del virus sono emerse anche posizioni diverse fra gli esperti: perché?

«Perché siamo di fronte a un virus nuovo, che non conosciamo. Il mondo scientifico sta cercando di spiegare alla popolazione che ci troviamo in un momento delicato e che le misure adottate per affrontare il problema, come l’isolamento, sono essenziali. Anche se possono ridurre per un periodo di tempo la libertà personale. Contro questo virus servono scienza e intelligenza, la ricerca sta facendo grandi passi avanti».

Come siete riusciti a far guarire i due cinesi positivi al test il 30 gennaio, primi due casi in Italia?

«Quando li avremo dimessi, allora potremo chiudere i casi. Ma di sicuro posso dire intanto che sono stati identificati precocemente e hanno avuto subito un supporto respiratorio: così si è potuto cambiare il corso delle cose. L’altro paziente (il ricercatore reggiano, ndr) ha avuto una sintomatologia limitata. La tempestività del trattamento ha fatto la differenza. Diventa tutto più difficile con soggetti autoctoni, come sta avvenendo al nord, dove solo con la ricerca sul campo e sfruttando catene epidemiologiche si potrà, forse, risalire al vero “paziente 0”».

Eravate pronti per affrontare questo sconosciuto Covid-19?

«L’Istituto è preparato da sempre per gestire epidemie. Era pronto con i sistemi diagnostici, che poi ha fornito a diverse Regioni ed è riuscito a tirare fuori il virus in tempi rapidissimi. Virus che è cresciuto, nel frattempo. E abbiamo messo a punto pure un test per valutare gli anticorpi immediatamente e uno studio sulla risposta immunitaria delle cellule. Abbiamo una rianimazione che può gestire e intubare i pazienti, il che non è semplice».

Ci si chiede se il sistema sanitario italiano sia adeguato per gestire un’epidemia.

«Credo che sia pure il momento storico giusto per dire che l’Italia debba fare un investimento per costruire un modello di risposta sul virus. Credo che il Paese possa gestire bene la situazione se i casi sono pochi, ma deve investire per costruire la risposta. L’Italia garantisce assistenza per tutti, ma in questi anni siamo andati verso un depotenziamento e un sottofinanziamento».

Il coronavirus colpisce anziani con patologie pregresse, ma anche giovani maratoneti.

«Vero. È una polmonite virale nuova, stiamo anche studiando gli anticorpi dei pazienti guariti per saperne di più. Abbiamo verificato che l’antivirale usato per l’Ebola, e che non ha funzionato, ha rivelato invece un’efficacia per il Covid-19: lo abbiamo usato su due dei tre nostri pazienti. Ora abbiamo bisogno di un test semplice per accertare il contagio e ovviamente del vaccino, che sarà pronto presumibilmente tra un anno, un anno e mezzo. Quando finirà invece l’epidemia, non lo sappiamo. E io, di mestiere, non faccio l’indovino».