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Spinazzola: “Il no dell’Inter? Non tutti i mali vengono per nuocere. Mourinho…”

Spinazzola: “Il no dell’Inter? Non tutti i mali vengono per nuocere. Mourinho…”

Leonardo Spinazzola, al Corriere della Sera, ha risposto anche alla domanda sul suo mancato trasferimento all'Inter"

Matteo Pifferi

Lunga intervista concessa da Leonardo Spinazzola al Corriere della Sera. L'esterno della Roma e della Nazionale ha parlato anche di Inter:

«Ho tutto, sono felice. Anche io passo i miei momenti tristi, ma poi guardo avanti e non mi piango addosso»

È nel suo Dna?

«No, ci sono arrivato con le batoste. Un giorno, però, ho detto a mia moglie Miriam: se mi lamento ancora per qualcosa che riguarda il calcio, dammi uno schiaffo».

Ne ha presi molti?

«Nemmeno uno».

Quel giorno era quando l’Inter si rifiutò di tesserarla, adducendo problemi fisici?

«C’è un’altra domanda?».

Tornato alla Roma, però, da quel giorno è stato una locomotiva sulla fascia...

«Vede che non tutti i mali vengono per nuocere?».

La pandemia ha fatto rinviare l’Euro di un anno. L’Italia avrebbe vinto nel 2020?

«Abbiamo vinto quello che c’è stato e questo basta. Ci sentivamo forti anche un anno prima. La pandemia è stata un dramma tale che cancella ogni altro discorso. Penso alla gente che è morta, a chi ha perso i propri cari, ai ragazzi che non hanno potuto vivere appieno gli anni più belli. Da piccolo ero sempre a giocare a pallone, mia mamma doveva portarmi via dal campo dopo avermi rincorso a lungo».

E lei, che ha un bambino di 3 anni e una bambina di pochi mesi, che tipo di papà è?

«Con Mattia sono giocoso e presente, ma so essere esigente: voglio che cresca con l’educazione giusta. Con Sofia è ancora troppo presto, vedremo, ma credo che sarà la principessa che mi mangerà».

Il rapporto di Mattia con il calcio?

«È impazzito durante l’Europeo. Gioca a tutte le ore, si rivede gli highlights delle partite, rifà i gol e le esultanze».

È vero che il suo idolo è Chiesa e che dice che è più forte di lei?

«Vero. Ho chiesto a Federico di mandarmi un video per Mattia. La prima cosa che ha detto è stata: bello, ma domani viene a casa nostra?».

L’Europeo vinto e il suo cammino di gioia e dolore sono diventati un libro. Ha ambizioni letterarie?

«Non scherziamo. È stato bravissimo Alessandro Alciato a rendere sulle pagine la storia che io gli ho raccontato. Dirò di più: rileggerla attraverso un punto di vista diverso che ha appassionato anche me».

Il libro si apre con una domanda, quella che si è fatto subito dopo l’infortunio contro il Belgio: perché proprio a me? Ha trovato la risposta?

«La trovo lavorando per tornare quello di prima. Se riesco, anche meglio».

Il vostro Europeo, gli ori di Tokyo: è stata un’estate di azzurro intenso...

«Ho visto tutte le Olimpiadi, tifavo dal divano. Jacobs, Tamberi, Pellegrini: in casa si esultava tutti insieme come se avessi vinto io».

Nel libro si parla della colonna sonora che vi ha accompagnato: avete fatto cantare Belotti in napoletano.

«Quaranta giorni tra ritiro e partite senza mai un litigio. Un gruppo così non lo avevo mai visto. Non basta per vincere, ma aiuta. Aiuta molto».

Sarà facile o difficile, in campionato, affrontare quei compagni da avversari?

«Abbracci prima e dopo, ma non durante la partita».

Se capita, insomma, a Insigne può arrivare anche un «calciaggiro»?

«Di calci, in verità, nella mia carriera ne ho sempre dati pochi».

Troppo tenero? Piacerà a Mourinho? Che impressione ha avuto del suo nuovo allenatore che ha già conquistato Roma e la Roma?

«Mi ha telefonato prima di Italia-Turchia e mi ha detto: te la fai sotto o sei forte? Hai paura o sei pronto? E io: sono prontissimo, mister, e non vedo l’ora di incominciare».

Adesso non vede l’ora di tornare in campo o c’è il timore di affrettare i tempi e rischiare una ricaduta?

«Mi sono fatto una mia tabella di recupero perché devo tenere la testa sempre sul pezzo. Mi aiuta. Sentirò cosa dice il mio corpo, ma è chiaro che darò retta ai medici».

Lo ha fatto anche con il vaccino contro il Covid?

«Sono vaccinato, convinto. Come mia moglie. Mi fido della scienza».

E si fida di se stesso? Ha sempre pensato che avrebbe fatto il calciatore?

«Le doti, sinceramente, le avevo da subito. Forse ne avevo anche troppe. A volte sono stato un po’ presuntuoso, come quando alcuni allenatori nelle giovanili mi vedevano già in una posizione di campo più arretrata e io invece volevo giocare più avanti e fare gol. Poi i gol sono diventati sempre di meno e io sono diventato un terzino. Forse ho perso tempo e qualche occasione. Forse era soltanto la mia strada e dovevo percorrerla fino in fondo».

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