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Handanovic: “Io, il Bukowski dei portieri. L’Inter è tornata grande. Sul futuro…”

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Il portiere e capitano nerazzurro carica l'ambiente: "Siamo forti, questa squadra può e deve continuare a vincere"

Fabio Alampi

L'Inter e Handanovic: una storia iniziata nell'estate del 2012, passata attraverso vittorie e sconfitte, record personali e delusioni. Oggi, alla decima stagione in nerazzurro e con la fascia di capitano al braccio da più di due anni, vuole continuare a vincere dopo aver conquistato lo scudetto lo scorso maggio. Il portiere sloveno, in una lunga intervista concessa a Tuttosport, racconta le tappe più importanti della sua carriera interista, tra passato, presente e futuro: "A volte mi sento il Bukowski dei portieri: non bevo, non fumo ma come lui sono un tipo diretto che, se deve dire una cosa a qualcuno, vado dritto".

Samir, quel giorno a Pinzolo ci aveva detto che arrivare all'Inter per lei sarebbe stato come iniziare l'università. La laurea è arrivata con la fascia da capitano o con lo scudetto?

"Beh, la fascia di capitano e lo scudetto sono dei master, la laurea è arrivata vivendo i difficili momenti di transizione che il club ha passato in questi anni. È stato un percorso di crescita ed era difficile prevedere quanto sarebbe durato per trovare compimento".

Lei ha scelto l'Inter per vincere: si è dato una spiegazione sul perché ci avete messo tanto a farlo?

"Nove anni fa io e l'Inter ci siamo scelti a vicenda, ci abbiamo messo tanto perché è sport, non matematica e in questo periodo, evidentemente, c'è stato qualcuno più bravo di noi. Anche per tornare in Champions ci abbiamo messo tanto tempo nonostante per un club come l'Inter quello sarebbe stato un traguardo minimo. Per vincere però ci vogliono tante cose: le persone giuste e linee guida chiare rispettate da tutti".

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Vienna, 13 febbraio 2019: lei esce dal campo dopo la prima partita con la fascia al braccio mentre la curva urla il suo nome: cos'ha pensato in quel momento?

"Mi sono sentito leggero, nonostante la responsabilità che provavo indossando la fascia. Una fascia che pesa perché noi possiamo scrivere solo qualche pagina della storia, ma l'Inter resta".

Sempre in quell'intervista, riguardo una domanda sul Milan che stava smobilitando, ha risposto che sembrava fosse accaduto pure con la sua Udinese dopo gli addii di Sanchez, Inler e Zapata e invece la squadra ha fatto meglio rispetto all'anno prima. Situazione che somiglia molto a quella dell'Inter di oggi.

"In questi anni abbiamo costruito un certo tipo di mentalità che non può essere dimenticata solo perché due giocatori forti sono andati via. L'Inter ha vinto il Triplete dopo che è andato via Ibrahimovic mentre la Lazio, ai tempi, lo scudetto dopo l'addio di Vieri. Entrambi grandissimi campioni, d'accordo, ma questo conferma come il gruppo è quello che ti fa remare avanti e che non bisogna dipendere da uno, due giocatori".

Andare in campo con lo scudetto sul petto, aumenta le responsabilità oppure vi dà ancora più sicurezza?

"Io ribalterei il concetto: affrontare una squadra che ha vinto può aumentare le motivazioni dei nostri avversari. Noi, invece, dobbiamo solo pensare a mettere in campo quello che abbiamo preparato".

Rispetto a un tempo, gli avversari vi guardano in modo diverso?

"Certo. E questo accade già da due-tre anni. Chi gioca, percepisce di trovare di fronte una squadra forte: a me capitava ai tempi dell'Udinese nell'affrontare l'Inter. E oggi accade lo stesso agli altri quando ci incontrano".

L'ha sorpresa la partenza falsa della Juve?

"No, perché stiamo parlando di solo due partite molto diverse tra loro. Ad agosto poi si gioca un calcio diverso rispetto al resto della stagione, per noi però era importante ricominciare vincendo per ritrovare la consapevolezza che già avevamo. Il calcio vero però inizia ora".

Dopo quanto successo, avevate ancora più bisogno di risposte dal campo?

"No, perché quando mi giro nello spogliatoio vedo tanti giocatori forti e professionisti seri. Questa è una squadra che può e deve continuare a vincere. Non so se siamo più o meno forti rispetto a un anno fa, ma sicuramente siamo più completi. E abbiamo pure più esperienza".

Chiusa un'ossessione (quella di tornare a vincere), eccone un'altra: superare il turno in Champions. Le tante delusioni negli ultimi anni cosa insegnano?

"Cercheremo di dimostrarlo in campo cosa ci hanno insegnato tutte quelle delusioni, non serve dirlo a parole".

Magari anche qui vi può aiutare un po' l'esperienza?

"Mah, siamo sempre arrivati all'ultima partita con in mano il nostro destino, quindi conta fino a un certo punto... Ci è mancato sempre quel poco che diventa tanto se non si centra l'obiettivo".

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Qual è l'eredità che ha lasciato Conte?

"Noi giocatori dobbiamo soltanto ringraziarlo, anche se sono stati due anni impegnativi con lui. Quello che mi ha colpito di più è la mentalità che ha portato e su questo credo che abbiamo fatto il passo più grande. Conte è uno che si emoziona quando parla alla squadra e sa emozionare i suoi giocatori e non sbaglia mai il momento in cui dire le cose".

Cosa ha aggiunto Inzaghi?

"Siamo ripartiti con il 3-5-2, tante cose buone sono rimaste e lui ci ha messo le sue idee spiegandoci in cosa possiamo anche migliorare per crescere ancora".

Lei, tra l'altro, alla Lazio è stato anche suo compagno di squadra...

"Era simpatico, un grande uomo spogliatoio. Mi ha fatto una certa impressione ritrovarlo da allenatore".

Studia ancora molto quanto fa in campo?

"Sì, il metodo non è mai cambiato. Si è solo un po' evoluto...".

Come vive l'errore?

"Ci vuole un po' per metabolizzare sconfitte ed errori, ma tutto deve avvenire nella maniera giusta: se sbagli, vuol dire che sei vivo. Ormai sono grande: ho 37 anni e non mi deve spiegare più nessuno quando ho sbagliato perché so di averlo fatto. Poi, sotto la pelle, tutti abbiamo sangue, è normale. Meglio se dopo uno sbaglio vinci, a quel punto te ne freghi".

Ha già iniziato a pensare a cosa fare dopo?

"Voglio rimanere nel calcio e provare a fare l'allenatore".

Modelli?

"Devi prendere qualcosa da tutti, ma poi avere un'idea, quelle sono importanti".

Samir, lei ha il contratto in scadenza: sentire e leggere di Onana e altri suoi possibili eredi è un fastidio, la carica oppure fa parte del gioco?

"Fa parte del gioco. Son cose che succedono dappertutto e con tutti, poi è normale: mi sento ancora bene, mi diverto, vivo per il calcio che è la mia passione. Ora penso all'oggi, poi vedremo. L'importante è che l'Inter raggiunga i suoi obiettivi".

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