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Branca: “Mourinho bollito? Macché. Vi racconto gli intervalli di Kiev e Barcellona”

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Così l'ex ds nerazzurro: "Mourinho? Dal primo incontro, subito la percezione di un uomo stimolante, arguto, mai banale"

Marco Astori

Lunga intervista concessa da Marco Branca, ex direttore sportivo dell'Inter, ai microfoni del Corriere dello Sport. Il dirigente ha parlato del suo rapporto con Jose Mourinho, che questa sera ritroverà i nerazzurri come avversari per la prima volta: «Dal primo incontro, subito la percezione di un uomo stimolante, arguto, mai banale».

Tra i cinque più intelligenti mai incrociati nel mondo calcio?

«Assolutamente. Stupefacente la velocità del pensiero con cui arriva alle sintesi. Per essere stimolante, José ha bisogno di avere intorno persone stimolanti. Gente che dice quello che pensa e non quello che lui vorrebbe sentirsi dire».

Tu eri uno di quelli?

«Mai detto che stava sbagliando o meno. Gli esponevo il mio punto di vista. Il suo talento era di ascoltare e sintetizzare. Mi sono trovato alla grande con lui. Conosci gli allenatori, lui non è mai stato ossessivo con me nel periodo dei mercati. Via via ci siamo annusati e conosciuti, fino a quando bastava un nulla per capirci».

Il più grande tra tutti gli allenatori vissuti tra calciatore e dirigente?

«Sicuramente, nessun dubbio».

Cosa lo rende unico?

«La velocità di pensiero applicata a una grande qualità. Terribile. E la capacità di lavoro. Dalle sette del mattino s’informa su ogni cosa, sul mondo. Arriva all’allenamento preparato al massimo con tutto quello che può servire alla sua squadra».

Hanno fatto discutere alcune scelte di Mou. Il suo modo estremo, quasi feroce, di includere ed escludere.

«Io parto dal presupposto che Mou ha obiettivi grandi. Che non sono cosa può accadere di quel giocatore piuttosto che un altro. Se fa o dice qualcosa anche molto forte è perché ha in mente solo l’obiettivo».

È il dogma napoleonico, conta il risultato, il resto è “carne da cannone”.

«Quello è Mourinho. Lui fa tutto in maniera scientifica. Niente di casuale. Lui non chiede la luna. Pretende solo una cosa: chi gioca con lui deve alzare al massimo il suo rendimento, il suo lottare per la causa. Non hai alternativa. Con José esisti solo così. Devi fare l’impossibile per vincere. Detto questo, è un uomo pragmatico, non chiude mai la porta a nessuno».

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Una cosa di Mou che pochi sanno.

«È un allenatore che sa essere molto affettuoso con i suoi giocatori, capace di grandi tenerezze. Mou è una persona ampia, con una grande gamma».

Non è pentito di aver scelto Roma? Una piazza cosi umorale e rumorosa.

«Per niente. Continuo a credere che sia la piazza perfetta per lui».

Conoscendolo, come si avvicinerà alla partita contro la “sua” Inter?

«Non cambia nulla. Vuole vincere. Non c’è una partita in cui Mou non voglia spasmodicamente la vittoria. Se stravince, è ancora più contento».

Non sarà fuorviato e rammollito dal turbamento?

«Sarà concentrato ferocemente, più che mai, per tirare fuori il massimo da sé e dai suoi».

Più di qualcuno insiste a raccontare Mourinho come Gloria Swanson, al suo viale del tramonto.

«Cose che capitano agli allenatori molto vincenti. Tempo fa toccava a Carlo Ancelotti, che adesso è primo in Spagna. Maldicenze dettate dall’opportunismo e dall’invidia. Mourinho? Gli scivolano addosso».

Il suo calcio non è al passo con i tempi?

«Per me José è attualissimo. È un allenatore completo, certo con le sue corde, ma capace di adattarsi a qualunque contesto. Lo vedo alla Roma attuare schemi che da noi all’Inter non faceva quasi mai».

Memorabile con lui…

«Scendere negli spogliatoi tre minuti prima dell’intervallo e poi assistere ai suoi discorsi. Spettacolo assoluto».

Raccontaci l’intervallo di Barcellona-Inter al Camp Nou, la sconfitta capolavoro di José.

«Quello fu paradossalmente tra i più tranquilli. La chiave della partita era chiara: dovevamo soffrire ed essere bravi dal punto di vista tattico. Altri intervalli furono decisamente più movimentati».

Un intervallo in cui Mou ribaltò la partita?

«Non solo la partita. Quello di Kiev contro la Dinamo di Shevchenko. Vincemmo in inferiorità numerica con un gol di Sneijder a due minuti dalla fine. All’intervallo stavamo perdendo. Mou partì con toni pacati, alzandoli via via. C’era questo lettino di acciaio puro, una settantina di chili. Finita la sua arringa, José lo ribaltò, urlando cose irripetibili alla squadra. Funzionò».

Il Mou furioso…

«Quando va in trance agonistica non lo ferma nessuno».

Quell’addio all’Inter somigliante a una fuga, la notte del trionfo. Andarsene sulla macchina del Real. Qualcuno parlò di cinismo esagerato.

«Probabilmente, sentiva che non sarebbe stato emotivamente preparato a un distacco dopo essere stato coinvolto in tutte le celebrazioni del triplete. Sarebbe stato molto più difficile. Ma va bene così. Resta l’impresa enorme costruita insieme, sportivamente ed emotivamente».

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La squadra. Un nome su tutti di quel triplete?

«Non lo dirò neanche sotto tortura. Sono stati tutti fondamentali».

Quell’Eto’o che accetta di sgobbare su e giù per la fascia…

«Decisero a gennaio con Mourinho di farlo... Il fatto rilevante del triplete fu di aver vinto con sei titolari nuovi rispetto all’anno prima. Una cosa che esula dalle regole del calcio. Prima si era costruita la mentalità, poi vennero gli inserimenti giusti».

Da non sognatore, un sogno tornare un giorno a lavorare con Mourinho?

«Non so pensare ai piaceri possibili di un futuro lontano. Sono concentrato a fare bene quello che faccio oggi. Il domani sarà una conseguenza».

Ritorneresti a fare il direttore?

«Mai all’Inter. Quando hai vissuto emozioni cosi forti non devi mai tornare, devi conservarle come una cosa preziosa».

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