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Coronavirus, Burioni: “Quando tornare a giocare? Nessuna previsione: non escludo che…”

Le parole del virologo

Marco Astori

Lunga intervista concessa da Roberto Burioni, virologo dell’Università Vita-Salute San Raffaele, ai microfoni de La Gazzetta dello Sport. Il tema affrontato è stato ovviamente il Coronavirus.

Professor Burioni, cosa cambia nella percezione collettiva ora che due di A sono positivi?

«Un passo in più nella consapevolezza. Molti hanno vissuto nell’illusione che atleti iper-allenati e iper-controllati potessero, non si sa come, resistere. Ma questo virus contagia tutti. E dico tutti. Giovani, bambini, anziani e pure giocatori di calcio nel pieno della carriera e delle forze. Chiaramente, poi, le conseguenze negli anziani o in chi è debilitato possono essere diverse: io spero che Rugani e Gabbiadini guariscano ed è lecito pensare che sarà così. Il problema, semmai, è che possono aver contagiato altri».

E tra quanto lo sapremo?

«Dopo il contatto ci può essere un periodo di incubazione che va dai 5 agli 8 giorni, ma che arriva a volte fino ai 14, durante il quale la persona può ammalarsi e a sua volta trasmettere la malattia. Chi si contagia oggi non si ammala domani, ma tra un po’, ed è per questo che tutta la Juve è in quarantena».

E tutta dovrà essere, prima o poi, sottoposta a tampone?

«Andiamo per ordine: Rugani si è infettato da poco e, come detto, serve tempo. Ma tutti, da Agnelli a Dybala devono stare rigorosamente isolati. Devono controllare se hanno la febbre un paio di volte al giorno. Devono verificare se hanno anche il più minimo sintomo, sopratutto respiratorio. In quei casi, e solo in quei casi, col famoso tampone si va a vedere se nella gola è presente in qualche forma il virus».

Non avrebbe senso farlo in maniera preventiva?

Ma Rugani non era tecnicamente “asintomatico”?

«Se era totalmente asintomatico perché gli hanno fatto il tampone? Se aveva 37.4, qualche sintomo lo aveva... Diciamola in questo modo: questo virus può dare dei quadri molto lievi e questo è pericoloso perché una persona con sintomi leggerissimi, come evidentemente Rugani, ha il potere nefasto di infettare gli altri. E se fosse andato ad allenarsi così avrebbe potuto contagiare, compagni, tecnico, staff, singoli inservienti».

E gli altri come possono conciliare la quarantena con l’allenamento?

«Non è certo proibito allenarsi, basta farlo da soli. Anche nel campetto sotto casa, l’importante è che non ci sia nessuno. Che siano nella palestra della propria abitazione o in un ambiente esterno, conta solo l’isolamento. Immagino che tutti, in questo strano periodo, dovranno mantenere tono muscolare e condizione fisica».

Possiamo dire che dopo tanta sottovalutazione il circo del calcio ha capito?

«Mentirei se le dicessi che ho seguito le polemiche e, credetemi, io sono appassionato e tifoso. L’emergenza era talmente grande che non ho neanche visto le ultime partite della mia Lazio. La situazione, però, è ora sotto gli occhi di tutti e lo sport ha capito: non era pensabile giocare col pubblico ed è stato sacrosanto fermare il campionato. È pericoloso anche gareggiare a porte chiuse perché quelli che giocano, lo abbiamo visto, possono essersi infettati da qualche parte. E’ davvero facilissimo...».

Secondo lei sta passando il bombardamento del messaggio “state a casa”?

«Vale per tutti: persone normali, lavoratori e... sportivi tutti. Sono vietati gli assembramenti sia dei giocatori di briscola sia dei calciatori professionisti. E anche per noi a cui piace così tanto parlare di calcio in compagnia. Torneremo a farlo, a godere del gioco, ma ora il destino di questa epidemia è in mano nostra».

Secondo lei, a spanne, quando si tornerà a giocare?

«Spero proprio che il 2020-21 sia una stagione bella dall’inizio, ma non escludo che in qualche modo si completi anche questa: non possiamo fare previsioni, sappiamo troppo poco di questo virus. Ogni decisione passa solo dagli sviluppi della pandemia nel mondo. Mi concentro su quella, non sul calcio giocato che può attendere. Niente sfottò ai cugini romanisti, niente bandiere: il momento è troppo serio, il nemico è comune e forte».

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