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CdS – Paradosso Conte: Eriksen non è un fuoriclasse, lui non cambia. Il messaggio del club è chiaro

L'analisi del Corriere dello Sport sulla situazione in casa Inter tra Conte ed Eriksen

Alessandro De Felice

"Antonio Conte prigioniero di un paradosso: voleva acquisti di qualità ma il più prezioso non lo fa giocare". Il Corriere dello Sport analizza la situazione legata a Christian Eriksen, che non è ancora riuscito a conquistare un posto da titolare nell'Inter guidata dal tecnico leccese.

"Eriksen è una buona prospettiva da cui guardare l’allenatore rientrato in Italia per portar via lo scudetto alla Juventus. In totale aderenza alla maniera in cui lo disegnano e in cui si lascia disegnare, Conte non era contento prima del mercato e non è contento adesso. Se esistesse uno stato intermedio, sarebbe infelice pure là. Marotta che lo conosce dai tempi del ristorante da 10 euro lascia fare. Abbozza. Sorvola. Incassa. Lo fa per fede. Nessuno più di lui sa che cosa la ferocia di Conte sia in grado di aggiungere alla classifica di una squadra. Eppure Conte conosce il calcio da quarant’anni. Non devono certo spiegargli che uno stesso tratto caratteriale può passare per una virtù o per un limite. La furia passa per uno stimolo che smuove una squadra quando rimonti, per un’ossessione che la frena se vieni rimontato".

Più facce di uno stesso Eriksen: "Lungo questa tratta elementare, gli Eriksen di Conte sono due. Quello che entra al 66’ della partita contro la Fiorentina in Coppa Italia e un minuto dopo vede andare in gol Nicolò Barella; oppure quello che esce a Udine al 58’ sullo 0-0 e dalla panchina, con Brozovic in campo, vede segnare due gol ai suoi. Dall’Eriksen a cui bisogna credere e dall’Inter a cui si deve dare credito, dipendono una serie di risposte, prima di tutto tra i pensieri di Conte. Eriksen è un signor giocatore ma si ferma qualche gradino prima della parola fuoriclasse. Ha 28 anni e non si è fuoriclasse nella Serie A di oggi a quell’età. [...] Conte crede sia ancora tempo di panchina. È un 10 non abbastanza tale da spingerlo a cambiare tutto il resto. Non nella sua versione attuale, almeno. Non c’è alcun dubbio allora sul fatto che sia l’Eriksen di Udine a vivere impresso dentro gli occhi di Conte. Nel suo mondo ideale sarebbe un giocatore perfettamente sovrapponibile al Sensi di settembre, un palleggiatore raffinato da sistemare di fianco a Brozovic per dare profondità al passaggio nella maniera più rapida. Eriksen saprebbe farlo perché ha vocazione al calcio moderno, all’interpretazione liquida dei ruoli. È forse il suo pregio tattico maggiore, saper partire da laterale o giocare tra le linee, da trequartista o da mezzala".

Il problema sta nel fatto che Eriksen non interpreta perfettamente il 3-5-2 di Conte: "Il punto vero è un altro. Eriksen, comunque sia, non è Vidal. Eriksen sballa la concezione della linea a cinque, un caposaldo del calcio di Conte. Quanto Conte sia disposto a cambiare e a mettersi in gioco per Eriksen è chiaro. Nulla. Almeno oggi. Qui sta il paradosso. Se non cambia e non si mette in gioco, l’Inter è già arrivata al massimo".

E dopo il mercato di gennaio, l'obiettivo dell'Inter è chiaro: "Il calcio di Conte si regge sull’elettricità. La sua maniera di stare al mondo è fatta di contrapposizioni. Quando le antitesi crescono dentro casa, esiste solo la condanna alla vittoria per non restare triturati. Su Eriksen e più in generale sulle strategie di mercato, Conte fa di tutto ogni volta per descriversi come un estraneo al suo pianeta. Non gli avranno preso metà Real Madrid, come disse una ventina di giorni fa, ma nemmeno dei Sebastiano Esposito, dei ragazzini cioè, la cui principale qualità consiste nell’essere giovani. Quando si aggiungono alla rosa calciatori come Moses e Young, che in due fanno 940 partite giocate, 11 trofei vinti e 3 partecipazioni ai Mondiali, non esistono progetti a lunga scadenza. Il messaggio per un allenatore è chiaro. Vincere. Ora. Subito. È il solco dentro il quale vive oggi questa relazione incompleta e sospesa tra Conte e la società".

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