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Veltroni: “Cuadrado all’Inter? Diritto incontestabile, ma la memoria dei tifosi è da elefante”

Veltroni: “Cuadrado all’Inter? Diritto incontestabile, ma la memoria dei tifosi è da elefante” - immagine 1
La riflessione su un tema di discussione degli ultimi giorni che riguarda da vicino anche i tifosi nerazzurri
Daniele Vitiello Redattore/inviato 

Lungo focus di Walter Veltroni sulla Gazzetta dello Sport di oggi. La riflessione riguarda anche i tifosi nerazzurri per quanto hanno vissuto negli ultimi giorni: "Non è contestabile il diritto di Cuadrado di giocare con la storica rivale della Juve né quello di Lukaku di pensare di fare il percorso inverso. Sono professionisti, loro. Ma il pubblico no. Il pubblico è un meraviglioso esercito di dilettanti che paga per divertirsi con il gioco più bello del mondo. I tifosi, specie quelli non professionisti, hanno un giocoso, quasi meravigliosamente infantile rapporto con la squadra per la quale hanno scelto, un giorno nella vita, di tifare. E hanno la memoria di elefanti, ricordano dichiarazioni, gesti, falli di ogni giocatore.

Inter Cuadrado

Ma, come si fa tra ragazzi, sono anche pronti a dimenticarli al primo gol, alla prima azione ubriacante. Ma dimenticano, se dimenticano, perché provano un sentimento in primo luogo per la loro squadra. Il mercato segua le sue logiche, spesso ciniche e spietate, ma il calcio mantenga il filo della sua ragione di esistere. L’unica, vera. Il sentimento che produce attaccamento, che fa venire voglia di avere addosso, anche se il fisico non lo permette, la maglia con i colori della tua squadra, che ti fa spendere soldi per una tribuna o, sempre di più, per un abbonamento televisivo, che ti spinge a fare viaggi assurdi per andare in posti lontani che neanche si fa in tempo a vedere.


Quella cosa che non ha nome, che non ha ragione, che ci rende infantili, gelosi delle vittorie altrui e tronfi per le nostre, che non ha relazione stretta con la razionalità, ma con il sentimento. Perché, a ben guardare, la partita di calcio è, nel tempo di oggi, anacronistica. In una fase della nostra vita in cui tutto è velocissimo, il football impegna novanta minuti per volta per uno spettacolo che si svolge essenzialmente in mezzo al campo, fatto di passaggi e che solo, al massimo, una decina di volte produce l’emozione di un tiro nella porta avversaria.

Tutto lento, non come il basket, la pallavolo, il tennis, sport in cui il tempo o il singolo punto si succedono con frenetica velocità. Terrei d’occhio questo elemento, fossi negli strateghi finanziari del calcio. I giovani non hanno per il football la stessa passione delle generazioni precedenti.

A un certo punto, con i migliori che vanno a cercare il petrolio, i giocatori che sembrano dei commessi viaggiatori disposti a cambiare prodotto senza colpo ferire, les enfants du pays, quelli ai quali ci si affeziona di più, che non vengono utilizzati e valorizzati, il rischio è che il giocattolo si rompa. La maglia non è uno straccio. Non è una bandiera per la quale morire. Ma neanche uno straccio. Se si rompe il filo emotivo, se il gioco perde anima e sentimento, se diventa freddo come un algoritmo, il calcio rischia di farsi nero.

Nero come il petrolio".

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