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Mourinho: “Sono cambiato, ma ho le ambizioni di sempre. All’Inter tutti mi seguivano e…”

L'ex allenatore dell'Inter si è raccontato a 360 gradi a France Football

Marco Macca

Forse non ha più lo stesso graffio di prima, quando da provocatore affascinante ammaliava e conquistava le platee di tutto il modo con il suo atteggiamento spavaldo. La tempra da vincente, però, quella no, non è svanita di certo. Perché in fondo, se nasci numero uno, solo come tale puoi continuare a vivere. Ed eccolo, allora, Josè Mourinho, che alla guida del Manchester United è sembrato fin dall'inizio meno "Special" e più "Normal". Il tempo passa e smussa gli angoli, si sa. Ma intanto l'ex allenatore dell'Inter è diventato il primo allenatore della storia dei Red Devils a vincere due trofei (Community Shield e Capital One Cup) al primo anno di regno all'Old Trafford.

In una lunga intervista concessa a France Football, Mou si è raccontato da 360 gradi tra presente e ricordi, anche a forti tinte nerazzurre: "Ora sono più calmo - ammette - come persona cerco di essere il contrario di quello che sono come allenatore. Provo a essere discreto e silenzioso e a trovare un modo per staccare la spina. Quando vado a casa, non voglio vedere una partita di calcio. Non voglio fare come qualche anno fa, quando il mio lavoro mi occupava 24 ore al giorno. Oggi, mi sento bene con la mia personalità. La vittoria per me rappresenta qualcosa di bello simile alla luna, mentre la sconfitta è come l'inferno. Credo di essere in grado di trasmettere serenità a chi lavora con me e ai miei giocatori. Ho la stessa ambizione di prima, quello sì. La stessa dedizione e la stessa professionalità. Ma ora so controllare meglio le mie emozioni".

"Nel nostro lavoro - ha continuato Mourinho - bisogna essere bravi ad adattare se stessi alle esigenze della piazza in cui si va ad allenare. Questo vuol dire essere intelligenti. La priorità per me è quella di stabilire un rapporto di pace e amore con il gruppo per creare stabilità. Nel Manchester United ci sono sempre state forti personalità come Giggs, Scholes e Roy Keane. Oggi, ci sono ancora Rooney e Carrick. Quindi per me è stato importante avere lì con me Zlatan Ibrahimovic, che pur non essendo inglese e non conoscendo quella cultura poteva immediatamente diventare più che un giocatore. In Inghilterra i club sono talmente potenti economicamente che il campionato è aperto a tutti i risultati. In Germania, per esempio, già sappiamo che il Bayern vincerà, anche perché in estate indebolisce le avversarie comprando i loro migliori giocatori. Qui, invece, ci sono molte squadre che possono vincere e per questo è più difficile costruire e arrivare al vertice".

Mourinho ha poi spiegato le sue strategie mediatiche, che in questi anni hanno davvero fatto scuola: "A volte bisogna cercare di manovrare psicologicamente il gruppo attraverso i media, soprattutto per creare uno stato d'animo, ma tutto diventa più facile quando si ha una squadra con forti personalità, così da poter recepire più facilmente il messaggio. All'Inter, per esempio, c'era gente come Materazzi, Cordoba, Ibrahimovic, Milito, Thiago Motta... tutti erano disposti a seguirmi. Altro discorso, invece, è avere una squadra con personalità piatte. Dunque, prima di iniziare un lavoro bisogna conoscere a fondo gli uomini con cui si avrà contatto".

(Fonte: France Football)