E il fatto che questa volontà sia reciproca - il mister ieri ha detto «io sono felice all’Inter e sarà sempre il parametro più importante per me» - la dice lunga su che razza di società sia diventata questa: un posto in cui si sta bene e, di conseguenza, si lavora bene. L’Inter si è guadagnata la possibilità di intavolare i discorsi dei rinnovi a tempo debito, ovvero quando non ci sono partite fondamentali in ballo. Come? Costruendo un rapporto solido e di reciproca stima con i diretti interessati e creando un contesto di lavoro in cui si preferisce restare piuttosto che andare via. Questo è una specie di nirvana per un club di calcio. Si diventa il caso in cui i soldi contano, sì, ma fino a un certo punto, e lo dimostrano i rinnovi di Lautaro Martinez, Barella, Bastoni e Dimarco dello scorso anno: ricchi ma, magari, chissà, un po’ meno che altrove.
Il senso di appartenenza si mescola con la programmazione che l’Inter ha saputo fare in questi anni, anche indotta dall’esigenza di contenere i costi. I contratti degli over 35 con l’opzione di rescissione con un anno di anticipo sono emblematici ma il club non la esercita senza aver dialogato con i diretti interessati. Il vero trofeo dell’Inter è poter decidere a prescindere dai trofei che vincerà, figuriamoci dall’esito di una partita come quella di stasera. Decisiva per l’accesso alle semifinali di Champions League ma non per il futuro dell’Inter. Siccome il calcio è materia oscura, non dipendere da esso per decisioni fondamentali è un traguardo inestimabile. L’Inter lo ha raggiunto e ora può godersi tutto ciò che c’è oltre".
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