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Ibrahimovic: “Scelsi l’Inter per fare la storia. A Parma andò così. Mou, l’addio e quel bacio…”

Ibrahimovic: “Scelsi l’Inter per fare la storia. A Parma andò così. Mou, l’addio e quel bacio…”

Zlatan Ibrahimovic, nella lunga intervista concessa a Sky Sport, ha parlato del suo arrivo all'Inter e degli anni in nerazzurro

Daniele Mari

Zlatan Ibrahimovic, nella lunga intervista concessa a Sky Sport, ha parlato del suo arrivo all'Inter e della sua esperienza in nerazzurro, conclusa con l'addio e il passaggio al Barcellona: "C'erano Inter e Milan, si parlava del loro interesse. Mino Raiola mi ha chiesto: "Vuoi essere il più forte calciatore del mondo o il più ricco?". E io ho risposto: "Il più forte". E  lui mi ha detto 'bravo, il più forte diventa anche il più ricco'. Quindi la scelta non fu economica ma fu una scelta per fare la differenza e rimanere nella storia. La scelta tra Inter e Milan era: il Milan aveva già vinto la Chmpions, Inter non vinceva lo scudetto da 17 anni. All'Inter erano passati Ronaldo il Fenomeno, Baggio, Bobo Vieri, Pirlo, Seedorf e nessuno aveva vinto pur essendo grandi giocatori. E io pensavo 'se vado all'Inter e vinco faccio qualcosa che loro non hanno saputo fare'. Se vinci dopo 17 anni resti nella storia, se vinci in un club che vince sempre sei uno dei tanti. Per quello ho scelto l'Inter. Mancini, Branca, fecero di tutto per portarmi all'Inter e ho fatto questo passo. Ma non era il passo più accettabile per gli juventini. Ma ero stimolato, con me è venuto anche Vieira, c'era Crespo, Zanetti, Adriano, Maicon: la squadra era completa, dovevamo solo giocare e vincere per portare questi trofei che la squadra meritava. E abbiamo vinto il primo scudetto dopo 17 anni".

IL SECONDO ANNO NERAZZURRO - "Si continuava a vincere, abbiamo vinto ancora lo scudetto, la Supercoppa. In Italia 4 scudetti e 2 Supercoppe in 4 anni. Mancini era cool. Era un ex calciatore, sapeva come era il rapporto tra i calciatori e gli allenatori. La Roma ci stava recuperando i punti di differenza, io mi ero fatto male. Io ero infortunato e la Roma era prima all'ultima giornata. Mancini disse 'non mi interessa, se sta male o no deve entrare in campo. Il problema è vostro'. E il dottor Combi disse che dovevo riscaldarmi bene e Mancini rispose che mi dava ancora 20 minuti. Ma eravamo ancora 0-0 e pioveva tanto quel giorno. Entro e mi ricordo come era l'azione. Mi danno il pallone in mezzo al campo, tiro ma va fuori. Era difficile portare il pallone avanti con quel campo. La seconda azione, faccio lo stesso movimento, tiro e il pallone entra. C'era una foto e si vede la gioia sulla faccia degli altri, in quel momento sai che hai fatto qualcosa di differente. E questo ti dà emozione, ti dà un'adrenalina e ti senti intoccabile, più forte di tutti. Ti senti come Hulk ma quello mi ci sento anche se non vedo queste cose. Mi ricordo nello spogliatoio che Mancini andava da tutti e diceva grazie. Arriva da me e io rispondo 'prego'. Ho vinto in tutti i club in cui ho giocato, questa è la mia mentalità. Dove vado vinco. Metto pressione a me stesso ma anche agli altri. Questa mentalità mi arriva fin da piccolo, dal Rosenborg, dall'Ajax, dalla Juventus, da tutti i club".

MOURINHO - "Arriva lo Special One. Quando porti Mourinho, porti tutto il pacco: porti l'allenatore, il media, porti tutto con Mourinho. Mi stimolava, era duro, ti mette pressione, ti dà responsabilità ma vuole qualcosa indietro, vuole risultati. Vinciamo il campionato e per la prima volta divento capocannoniere con l'Inter. Se diventi capocannoniere in Italia, puoi farlo ovunque. Il campionato italiano è il più difficile, tatticamente sono più avanti di tutti. In Italia era il quinto scudetto in cinque anni, con 2 o 3 Supercoppe. Sono stato il migliore straniero 2 o 3 volte in sei anni. E poi in Italia, che è il top of the top. Ma già alla fine del terzo anno sentivo di volere qualcosa di nuovo, un nuovo stimolo".

IL PASSAGGIO AL BARCELLONA E IL BACIO - "C'era il Barcellona, avevano vinto la Champions. Ma era difficile portarmi via dall'Inter, il rapporto con Moratti era un gran rapporto. Maxwell aveva firmato con il Barcellona, io gli dissi 'ti do gli scarpini, portali a Barcellona e aspettami lì, riscaldali'. Dopo uno o due giorni si sono incontrati e dopo 20 minuti era tutto fatto. Mino mi chiama e andiamo, era tutto finito, il contratto firmato ed era già pronta la conferenza stampa. C'erano 70mila persone allo stadio, mi arrivava un'adrenalina e una motivazione che avrei voluto giocare subito. Il bacio allo scudetto? Lo voleva il Barcellona, tutti i giocatori l'hanno fatto. E io non volevo un rapporto complicato con il Barcellona, era l'inizio, volevo andasse bene e l'ho fatto. Sembrava il Dream Team, c'erano Messi, Iniesta, Xavi, Henry, Dani Alves. Sembrava come quando sono arrivato alla Juventus, come giocare a Fifa".

LA CRISI CON GUARDIOLA - "Ero là per un motivo, i primi sei mesi facevo tanti gol e abbiamo vinto Supercoppa Uefa e Supercoppa. I primi sei mesi furono perfetti. Poi abbiamo cambiato sistema e tattica e non andava bene per me e il club mi diceva di parlare con Guardiola. E io dissi a Guardiola che sacrificava gli altri giocatori per Messi. E lui mi disse che mi capiva. Poi la partita successiva mi mette in panchina, la seconda pure, la terza pure. E io ho pensato 'l'ha risolta molto bene vedo' (ridendo ndr). E non mi parlava, non mi guardava. Entravo in una camera e lui usciva, gli andavo incontro e lui faceva un lungo giro. E ho capito che c'era qualcosa oltre il calcio. Ma il problema era suo, è lui che non aveva risolto il problema con me. Mi ricordo che il primo giorno mi disse che i giocatori del Barcellona non arrivavano con la Ferrari o la Porsche. Mi giudicava già là. Ma se non conosci una persona non devi giudicare. Io ho avuto la mia esperienza, non so con gli altri. Ma ho letto che la stessa cosa è successa a Mandzukic e ad Eto'o. Non è stato il peggiore che ho avuto ma sicuramente è stato il più immaturo. Perché un uomo risolve i suoi problemi".