Bobo Boninsegna, dal mesto tono di voce la immaginiamo ancora affranto…
«Sono macigni che non vanno mai giù. Ma se penso che l’unico trofeo internazionale che ho vinto, la Coppa Uefa, me lo ha dato la Juve, la principale rivale della mia Inter, mi sembra di essere su Scherzi a Parte… Comunque spero che Simone Inzaghi riesca a rifarsi della beffa di Istanbul, dove avremmo meritato… Insomma vorrei, da tifoso, riprovare l’entusiasmo di Madrid 2010: quando l’Inter ha conquistato il trofeo ho gioito come se fossi in campo».
Questa sfida col Psg è alla portata di una truppa rimasta scioccata dall’esito del campionato?
«Vedo un match equilibrato. Poi ci sono i fattori estranei ai valori tecnici, tipo la buona sorte, appunto. O l’ambiente. La sera dell’Ajax noi ci ritrovammo nella bolgia dello stadio di Rotterdam occupato quasi totalmente dai tifosi venuti da Amsterdam. Inoltre, pronti-via Invernizzi, il nostro mister, fu costretto a modificare la formazione a causa dell’infortunio di Giubertoni, difensore centrale che faceva coppia con Burgnich. In panchina avevamo di scorta solo una punta, Pellizzaro, e un centrocampista, Bertini, che infatti entrò mentre un giovanissimo Oriali dovette fare il marcatore fisso proprio su Cruijff. Bisogna dire ai giovani lettori due cose sul nostro insuccesso del 1972. La prima è che l’Ajax era piena dei giocatori che a livello individuale e collettivo si sarebbero rivelati in tutta la loro forza al Mondiale 1974. Quell’Ajax non era più la squadra inesperta che prese quattro gol dal Milan nella finale del 1969. Aveva vinto la Coppa dei Campioni del 1971 e avrebbe vinto pure il trofeo del 1973; la seconda è che all’epoca le squadre in lizza erano 32, distribuite in un tabellone tennistico. Per arrivare in fondo non dovevi fare tanta fatica: tra i sedicesimi e la finale c’erano da eliminare solo quattro avversarie. Erano comunque tutte vincitrici del loro campionato, perciò il livello era alto».
La sua Inter dovette superare un duro scoglio negli ottavi: il Borussia Mönchengladbach. Un doppio confronto che la vide protagonista.
«La famosa lattina… Beh, che si trattasse di una lattina di coca-cola lo venni a sapere dopo, da Mazzola. Però confermo una volta di più che un oggetto pesante mi colpì alla nuca, facendomi perdere i sensi. Brutta botta».
Lei fu preso alle spalle: impossibile scansarsi.
«Stavo rimettendo il pallone dal fallo laterale, lo stadio era piccolo, avevamo il pubblico a un metro e mezzo: per il lanciatore non fu difficile centrarmi con forza».
Si disse all’epoca che dopo le cure immediate sul terreno avrebbe voluto riprendere a giocare.
«Modestamente se c’era da alzare i gomiti, in campo mica al bar, non mi tiravo mai indietro… Il nostro medico mi sconsigliò e venni accompagnato negli spogliatoi, dove nell’intervallo l’arbitro entrò per sincerarsi delle mie condizioni».
Intanto l’Inter era crollata: finì 7-1 per i tedeschi. Una debacle.
«Loro avevano gente forte come Netzer, Vogts, Bonhof, Heynckes, Le Fevre… E la nostra squadra smise di giocare, mentalmente erano usciti dal campo dietro di me… Convinti di avere la vittoria a tavolino, cosa prevista dalle norme Figc, non da quelle Uefa, ma non lo sapevamo… Fu bravo l’avvocato Prisco a evidenziare le lacune giuridiche del regolamento internazionale. Così ottenne l’annullamento del match con ripetizione fissata a Berlino da disputarsi dopo la gara di San Siro, dove fummo noi a dargliene quattro. Segnai anche io».
A Berlino l’Inter blindò lo 0-0 iniziale.
«Ricordo una caccia all’uomo, con colpi assai duri perdonati dall’arbitro. Nel finale il loro stopper, Müller, mi fa cenno che vorrebbe scambiare la maglietta. Acconsento volentieri, pensando che tanti tedeschi avevano ancora in mente Italia-Germania, dove fui protagonista del gol iniziale e poi dell’assist a Rivera per il 4-3».
Insomma, era famoso pure là…
«Eh, eh, possiamo dire così. Peccato che due minuti dopo quel Müller mi fa un’entrataccia da dietro talmente scombinata che cadendo vado a finire con il peso del corpo sulla sua tibia. Risultato: io termino la gara e lui esce con la tibia fratturata. Lo rividi anni dopo a una partita di beneficienza, gli chiesi il motivo di quel fallaccio e lui rispose “Mi sono rovinato la carriera per dieci secondi di follia”».
© RIPRODUZIONE RISERVATA