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Il centrocampista della Roma Edoardo Bove è ancora fermo dopo il brutto episodio avuto in Fiorentina-Inter ma pensa al ritorno in campo
«Il ritorno in campo. Bisogna fissare il come, il dove e quando».
Hai tenuto il conto degli esami ai quali ti sei sottoposto da gennaio a oggi?
«Le visite saranno state una decina, molte di semplice controllo, elettrocardiogramma, prove sotto sforzo, holter pressorio, oltre a aritmologiche e a studi elettrofisiologici. Sono preparato. I medici hanno giustamente tutte le cautele... Ci vuole ancora un po’ di tempo, ma sento che si sta chiudendo il cerchio».
Al punto che...?
«Stiamo parlando con la Roma».
Sei sotto contratto.
«Fino a giugno 2028, è ancora lunga».
So che ti sei sentito con Christian Eriksen.
«Più di una volta, nei primi giorni e anche in estate. Abbiamo qualcosa in comune, pur non conoscendoci di persona. Me lo sento vicino e sono contento che abbia trovato un’altra squadra...».
Ti stai spendendo parecchio per informare sull’importanza del primo soccorso.
«Che può salvare tante vite. Ci sono persone che non hanno la percezione dell’importanza dell’immediatezza dei soccorsi. Il primo, la tempestività, la preparazione di chi lo porta sono passaggi fondamentali. I vantaggi concreti includono la stabilizzazione dell’infortunato, la riduzione di ulteriori danni e altro ancora».
Il periodo nero è passato del tutto?
«Quando mi sono ritrovato senza certezze, ho attraversato una crisi che definirei d’identità. Fino ad allora non avevo fatto altro che giocare a calcio. In momenti come quelli ti poni un sacco di domande, ti chiedi cosa sarai senza il pallone. Mi hanno aiutato la famiglia, gli amici, i compagni, i tifosi, la Fiorentina, e non mi riferisco solo alla squadra, ma anche ai dirigenti».
Il sogno di calcio è sempre ricorrente, la notte?
«Sì, e sono sogni frequenti. Un gol in rovesciata, sotto la traversa, quelli che non mi competono». Sorride di nuovo.
A proposito, guardi ancora le partite?
«Solo quelle di Fiorentina e Roma, le altre mi danno fastidio... Anche mio padre vede meno calcio, pur essendo appassionatissimo. Trovo che sia una reazione più che naturale... Per me, in particolare all’inizio, non è stato difficile come per i miei: io non capivo la gravità della situazione, pensavo di essere semplicemente svenuto. Loro invece sapevano di avere corso il rischio di perdere un figlio».
La legge non ti consente di giocare in Italia e dubito che in futuro potrà cambiare.
«Non escludo niente. I medici non sono ancora giunti a una conclusione, potrei anche essere a posto, non credi? Ho la piena consapevolezza della situazione, sto da Dio e ho una gran voglia di tornare alla mia passione».
Riflettevo sul fatto che sei una delle migliori espressioni del vivaio della Roma. Dunque, in Italia lavorare bene con i giovani, formarli per il grande calcio e la vita è possibile.
«Quelli della mia classe, 2002, sono diventati tutti professionisti: Calafiori, Zalewski, Cancellieri, Milanese, Darboe, altri sono in B o in C... L’unico autentico fuoriclasse resta uno del ’55, Bruno Conti. Per il quale provo tanto affetto e riconoscenza».
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