Ora è completamente fermo: le manca?
"Tantissimo. Non solo quello della serie A, mi manca proprio giocare con gli amici. Non poter giocare è stato come perdere il mio amore più grande, posso spiegarglielo solo così. Adesso la sfida è provare a continuare a essere me stesso, sapendo però di avere perso una parte importante di me".
Non si starà rattristando?
"Ma no, zero. So che questo è un periodo, una condizione temporanea. Il mio obiettivo è tornare a giocare a giugno".
E come farà?
"Eh (ride). Ho ancora qualche visita da fare, i medici devono incrociare tutti i dati".
E poi? Ora ha un defibrillatore sottocutaneo in grado di rilevare il battito cardiaco irregolare ed erogare uno shock salvavita per riportarne il ritmo alla normalità.
"Se si decide di mantenerlo, in Italia non potrò giocare: qui da noi la salute viene prima dell’individuo, e non sto dicendo che sia una regola sbagliata. Ma all'estero sì, praticamente ovunque. Gliel’ho detto, il calcio è troppo importante per me, non posso permettere a me stesso di mollare così. Io ci riprovo, senza ombra di dubbio. Vedrò anche come starò: se avrò paura, se non sarò tranquillo… allora cambierà tutto".
A un certo punto, forse, le toccherà fare tra sé e sé un calcolo del rischio.
"Mi possono dire quello che vogliono, ma l'ultima parola spetterà a me. Anche se decidessi di giocare all’estero, dovrei firmare un documento assumendomi la responsabilità di quanto potrebbe accadermi in campo".
Sta pensando di giocare all’estero?
"Per come stanno le cose adesso, sì. Però non escludo affatto di poter togliere il defibrillatore: i medici mi stanno dicendo che c’è questa possibilità".
Uno «regolare» e abitudinario come lei sarebbe pronto a questa svolta radicale nella sua vita?
"Non mi spaventa. Già quest’estate sono stato vicino ad andare a giocare all'estero. Non ho difficoltà ad adattarmi, mi basta trovare una mia routine".
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