Nel suo secondo anno senese c’era anche Conte…
—«Che risate e che scintille tra quei due! Ad Antonio lasciavo durante la settimana la gestione dei movimenti dei vari reparti, in particolare per la sua esperienza spesso si concentrava sui centrocampisti e così doveva allenare direttamente Tudor. Erano due caratteri forti e Igor aveva spesso da ridire sui modi e sugli ordini di Conte, ma sempre con rispetto dei ruoli e con educazione. Allora Antonio ci andava ancora più duro negli allenamenti. Era una sfida continua. Seppur buoni amici, nelle sedute e nelle partitelle non si risparmiavano affatto per prevalere l’uno sull’altro».
Tudor sembra Conte come allenatore. Lei che li conosce bene sposa questo paragone?
—«Si somigliano, entrambi sono passionali e coinvolgenti. Antonio era ed è tuttora bravissimo a catturare subito l’attenzione dei giocatori, entrando nella loro testa e nel loro cuore. Penso che pure Igor possa fare la stessa cosa alla Juve. Sono molto diretti nel parlare in faccia ai calciatori, che alla lunga apprezzano questa loro chiarezza e danno il massimo per loro».
Visto da fuori, cosa non ha funzionato nella Juve di Motta?
—«Le grandi rivoluzioni in casa Juve non hanno mai pagato. La Juventus è una società che ha una sua storia e una sua identità, difficile cambiarla. Bisogna vincere. In più in ogni grande squadra ci devono essere i leader di riferimento nello spogliatoio. Aver tolto giocatori importanti come Danilo, Szczesny e Rabiot per ringiovanire così tanto è stato un errore. Idem lasciare tutto in mano all’allenatore e alle sue idee di gioco si è rivelato un azzardo che non ha pagato. Adesso, con Tudor, mi aspetto una scossa positiva».
(Tuttosport)
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