Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Luigi Maria Prisco racconta il padre Peppino, avvocato dell'Inter e vicepresidente dal 1963 al 2001. "Per decenni abbiamo difeso l’Inter senza chiedere mai un soldo, né per le parcelle né per le spese".
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Avvocato, suo padre che cosa architettò per farla diventare interista?
"Il problema non si è posto. Lui, nella mia infanzia, non mi parlava mai delle altre squadre, della cui esistenza appresi a scuola, in prima elementare. Quando gli chiesi del Milan e della Juve, rispose: 'Lascia stare, quelli non contano niente'. Era astuto".
Le sue battute erano folgoranti: tra le tante, qual è la sua preferita?
"Quella che non si può pronunciare. In pubblico usava un linguaggio acconcio, in ambito domestico no, si lasciava andare a frasi non riferibili. Peppino però è stato ben altro che un battutista, era un grande avvocato e dirigente calcistico".

Il giocatore più amato?
"Peppino adorava Facchetti perché Giacinto, oltre a giocare molto bene, esprimeva signorilità ed eleganza. Diceva che sarebbe diventato un campione in qualunque sport, dall’atletica al tennis. Se lo immaginava come un atleta olimpico”.
Facchetti, post mortem, è stato tirato in ballo per Calciopoli, suo malgrado. L’avvocato Prisco, quando scoppiò lo scandalo, non c’era più: come avrebbe affrontato la vicenda?
"Papà, come Facchetti, aveva intuito che c’erano degli intrallazzi, ma non aveva le prove. Da avvocato sapeva che queste cose vanno dimostrate e che in alternativa bisogna armarsi di cristiana pazienza e aspettare, sperando di essere più forti anche dei cosiddetti errori arbitrali. Alla lunga venne fuori tutto".
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