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Anche questa Inter, però, è diversa dalla sua?
«Noi viaggiavamo sulle montagne russe, giù in campionato e su in coppa Uefa. In Serie A c'erano troppe pressioni e un po' di negatività, ma in Europa riuscivamo a giocare liberi e a volare. Questa Inter di oggi è molto più stabile della nostra: razionale, affidabile, non ti tradisce mai. Non a caso è in corsa su tutti i fronti e, quando arrivi a questo punto, non scegli più. Non puoi risparmiarti in una competizione e impegnarti in un'altra, ma provi a vincerle tutte. Questa Inter può farcela davvero».
Cosa l'ha colpita nell'andata di Rotterdam?
«Che l'Inter sia una grande squadra si è visto proprio lì: non ha fatto bene nel primo tempo, ha creato pochino, il Feyenoord avrebbe potuto essere più pericoloso, ma poi dopo il gol di Thuram, e che gol, ha governato la partita alla grande. È segno di esperienza e maturità: non serve sempre domina-re, soprattutto nelle sfide a eliminazione diretta, a volte basta gestire con intelligenza».
Quale è il vero segreto della squadra di Inzaghi?
«Sembrano un gruppo di giocatori arrivati tutti al momento giusto di crescita e pronti a raccogliere qualcosa di grande. Per il mio lavoro e per la presenza di Dumfries e De Vrij, vedo praticamente tutte le loro partite: ci sono individualità come i due attaccanti spietati, Thuram e Lautaro, o come gli esterni Dimarco e Denzel, tra i migliori in circolazione nei loro ruoli, ma quello che ti ruba l'occhio è proprio la squadra. Il sistema. In ogni momento, sanno come comportarsi con la palla e senza. Quando serve giocano semplice, ma sanno fare anche cose molto difficili...».
Quanto pesa quell'uno alla voce gol subiti?
«Numeri così ce li ha chi di solito arriva in fondo. L'Inter ha la migliore difesa della Champions, ma poi davanti ti fa male in tanti modi: possono segnare tutti, a partire dai centrocampisti di inserimento come Barella. Se dovesse esserci davvero Bayern-Inter ai quarti, sarebbe una sfida tra giganti candidati alla vittoria finale. Un incrocio in cui potrebbe succedere di tutto. Magari verrò a vederla dal vivo, ma sono sicuro che nessuna big europea sia felice di giocare contro gli italiani...».
I suoi Dumfries e De Vrij, invece, sono diventati loro stessi italiani.
«Si trovano bene a Milano, me lo dicono sempre. Adesso ci sono meno problemi di adattamento per gli stranieri rispetto a un tempo, ma loro ogni settimana fanno un egregio lavoro per l'Inter. E poi si fanno volere bene da tutti, sono degli ottimi compagni di squadra. Stefan è un difensore elegante, a Rotterdam giocava in casa. Denzel è tra i più decisivi, sia col club che in nazionale. Non c'è partita in cui non crei qualcosa: gli avversari si trovano contro un treno in corsa, non è facile fermarlo con il fisico».
Per chiudere, cosa le resta oggi dei suoi due anni interisti?
«Su di me e su Dennis c'erano molte aspettative: penso che abbiamo fatto il nostro, nonostante tutte le difficoltà ad adattarci a una mentalità diversa. Al primo anno nessuno poteva aspettarsi di rischiare di retrocedere in campionato, ma la Uefa ci ha ripagati: la doppietta di Dortmund e il gol in finale col Salisburgo sono ricordi felici, ma ci metto anche quello in semifinale contro il Cagliari... Di quella squadra non sento più nessuno, ma è sempre bello incontrare il capitano Bergomi in qualche stadio. E mi è piaciuto vedere Riccardo Ferri nella panchina di Inzaghi: le leggende di un club non dovrebbero mai essere allontanate».
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