Nove stagioni all’Inter impreziosite dallo scudetto del 1980.
«Lo scudetto fu il punto più alto, ma con Bersellini abbiamo vinto anche due Coppe Italia e un Mundialito per club. In quegli anni con Juventus, Real Madrid e Stella Rossa eravamo tra le squadre più competitive d’Europa. Non è un caso che Bearzot tra i 22 di Spagna portò cinque interisti».
Il campione più forte con cui ha giocato?
«Spillo Altobelli, fuoriclasse di levatura mondiale. Per dieci anni ha giocato in Serie A a livelli altissimi. Mi piaceva anche perché esultava in maniera composta. Se lo ricorda al Bernabeu? Spillo segna il 3-1 e poi alza il braccio. Stop, finita lì. Un avversario fortissimo invece è stato Eraldo Pecci, regista di intelligenza sopraffina, leggeva il gioco con tre secondi di anticipo».
Segue ancora l’Inter?
«Certo, tra campo e panchina nel settore giovanile ci sono rimasto vent’anni. Mi piace il gruppo degli italiani, da Bastoni a Dimarco. Il più forte però è Barella e sa cosa le dico? È da Pallone d’oro».
Il suo rimpianto più grande?
«Non essermi laureato in Economia e Commercio. Cioè, non mi sono manco iscritto, all’epoca era a numero chiuso. Però l’economia è sempre stata la mia passione. Posso definirmi un broker di me stesso. Anche oggi dedico 4-5 ore al giorno all’analisi in Borsa. Ho le giornate impegnatissime. Vivo a Lodi, dove sono nato. Sono l’amministratore dell’azienda agricola di famiglia. Passo il tempo con i miei due nipoti, Achille e Giulio, di dieci e otto anni. Insieme andiamo a pescare, giocano anche loro a calcio. E poi suono la chitarra per liberarmi dallo stress».
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